lsd-mescaline-ketamine

Gli allucinogeni sono droghe che causano allucinazioni - profonde distorsioni del modo di percepire la realtà da parte di una persona. Sotto l'influenza di allucinogeni, le persone vedono immagini, sentono suoni e percepiscono sensazioni che sembrano reali sebbene non esistano. Alcuni allucinogeni producono anche rapidi ed intensi cambiamenti d'umore. Gli allucinogeni producono i loro effetti rompendo l'interazione fra le cellule nervose ed il neurotrasmettitore serotonina. Distribuita attraverso il cervello ed il midollo spinale, il sistema della serotonina è coinvolto nel controllo del comportamento, della percezione e dei sistemi regolatori fra cui quelli riguardanti l'umore, la fame, la temperatura corporea, i comportamenti sessuali, il controllo muscolare e la percezione sensoriale.
LSD (abbreviazione per "lysergic acid diethylamide") è la droga più comunemente identificata col termine "allucinogeno" è la più diffusa fra questo tipo di droghe. E' considerata l'allucinogeno tipico e le caratteristiche della sua azione e gli effetti descritti in questa ricerca possono essere associati agli altri allucinogeni, fra cui la mescalina, la psilocibina e l'ibogaina.


Cosa sono le droghe dissociative?


Droghe come il PCP (fenciclidina) e ketamina, che sono state inizialmente sviluppate come anestetici generici nella chirurgia, distorcono la percezione della vista e dei suoni e producono sensazioni di distacco - dissociazione - fra l'ambiente e se stessi. Ma questi effetti di alterazione mentale non sono allucinazioni. PCP e ketamina sono perciò più giustamente noti come "anestetici dissociativi". Il destrometorfano, una medicina contro la tosse molto diffusa, se presa in dosi elevate può produrre effetti simili a quelli di PCP e ketamina.

Le droghe dissociative agiscono alterando la distribuzione del neurotrasmettitore glutamato attraverso il cervello. Questo neurotrasmettittore è coinvolto nella percezione del dolore, nella risposta all'ambiente esterno e nella memoria. PCP è considerata la tipica droga dissociativa e la descrizione dell'azione e degli effetti del PCP che viene fatta in questa ricercapuò essere in gran parte applicata alla ketamina ed al destrometorfano.
Caratteristiche fisiche dell'LSD
L'LSD è una sostanza solubile in acqua, chiara o bianca, senza odore, sintetizzata dall'acido lisergico, un composto derivante da un fungo della segale. L'LSD è la più potente droga conosciuta capace d alterare le percezioni e l'umore: dosi orali anche di soli 30 microgrammi possono produrre effetti che durano da 6 a 12 ore.

L'LSD è stato inizialmente prodotto in forma cristallina. Il cristallo puro può essere ridotto in polvere e miscelato con agenti agglutinanti per produrre barrette note come "microdots" o sottili quadrati di gelatina chiamati "window panes" (vetri di finestra); più spesso è dissolto, diluito e applicato sulla carta o altri materiali. La forma più diffusa di LSD è chiamata "blotter acid" (acido da carta assorbente) - fogli di carta impregnata di LSD e suddivisi in piccoli quadrati che costituiscono una dose individuale. Differenze nei modi di produzione e la presenza di sostanze contaminanti possono produrre l'LSD in una gamma di colori cangiante dal chiaro o bianco, nella sua forma più pura, sino al marrone e perfino al nero. Anche l'LSD non contaminato inizia a degradare e scolorirsi poco dopo essere stato prodotto, e perciò chi distribuisce la droga spesso applica l'LSD su carta colorata, rendendo difficile per l'acquirente valutare la purezza o la freschezza della droga.
Gli effetti dell'LSD
Non è ancora chiaro il preciso meccanismo attraverso cui l'LSD altera la percezione. Test di laboratorio hanno suggerito che l'LSD, come le piante allucinogene, agisce su certi gruppi di recettori di serotonina noti come i recettori 5-HT, e che i suoi effetti interessano principalmente due regioni cerebrali: una è la corteccia cerebrale, un area che riguarda l'umore, la cognizione e la percezione, l'altra è il "locus ceruleus" che riceve segnali sensoriali da tutte le aree del corpo e che è stata descritta come il "rivelatore di novità" del cervello per quel che riguarda importanti stimoli esterni.
Gli effetti dell'LSD solitamente iniziano da 30 a 90 minuti dopo l'ingestione e possono durare anche 12 ore. Gli utenti fanno riferimento all'LSD e ad altre esperienze con allucinogeni col termine "trip" (viaggio) ed alle gravi esperienze negative col termine "bad trip" (brutto viaggio). Sebbene la maggior parte dei "viaggi" causati dall'LSD includa sia aspetti piacevoli che aspetti non piacevoli, gli effetti della droga sono imprevedibili e possono variare in relazione alla quantità ingerita ed alla personalità, alle aspettative, al carattere del consumatore nonché all'ambiente in cui esso vive.

Chi fa uso di LSD può sperimentare degli effetti fisiologici, come incremento della pressione sanguigna e della frequenza cardiaca, capogiri, perdita di appetito, bocca secca, fatica, nausea, intorpidimento e tremori; ma i principali effetti della droga sono emozionali e sensoriali. Le emozioni del consumatore possono passare rapidamente dalla paura all'euforia, con cambiamenti così repentini da far apparire l'utente come se sperimentasse diverse emozioni simultaneamente.

L'LSD ha anche effetti notevoli sui sensi. Colori, odori, suoni e altre sensazioni sono molto amplificate. In alcuni casi, le percezioni sensoriali possono mescolarsi in un fenomeno noto come sinestesia, in cui ad una persona sembra di ascoltare o percepire colori e di vedere suoni.
Le allucinazioni distorcono o trasformano forme e movimenti, e possono creare l'impressione che il tempo si muova molto lentamente o che il corpo del consumatore di LSD stia cambiando forma. In qualche "trip" gli utilizzatori sperimentano sensazioni che sono piacevoli e mentalmente stimolanti e che producono un senso di suprema comprensione. I "bad trip" includono pensieri terrificanti e opprimenti sensazioni di ansietà e disperazione che includono paura della pazzia, della morte e della perdita di controllo.

I consumatori di LSD sviluppano rapidamente un alto livello di tolleranza agli effetti della droga. Dopo un uso ripetuto, necessitano di dosi crescenti di droga per ottenere effetti simili. Inoltre, l'uso di LSD produce tolleranza ad altri allucinogeni, come psilocibina e mescalina, ma non a droghe come marijuana, anfetamine e PCP, che non agiscono direttamente sui recettori di serotonina interessati dall'LSD. La tolleranza per l'LSD è di breve durata e si perde se l'utilizzatore smette di prendere la droga per diversi giorni. Non vi sono prove che l'LSD produca sintomi fisici da crisi d'astinenza quando si smette di fare un uso cronico di questa sostanza. Due effetti di lungo termine sono stati associati all'uso di LSD: psicosi persistente edisturbo persistente della percezione da allucinogeno, più comunemente noto come "flashback".
Psicosi.
L'effetto dell'LSD può essere descritto come psicosi indotta dalla droga - distorsione o disorganizzazione della capacità di una persona di riconoscere la realtà, pensare razionalmente o comunicare con gli altri. Alcuni utilizzatori di LSD hanno sperimentato devastanti effetti psicologici che persistono una volta che il "trip" è terminato, producendo uno stato simil-psicotico di lunga durata. La psicosi persistente indotta dall'LSD può includere drammatici cambiamenti d'umore da mania a profonda depressione, vividi disturbi visivi e allucinazioni. Questi effetti possono durare per anni e possono affliggere gente che non ha mai manifestato disturbi di questo tipo o altri sintomi di disordini psicologici.
Disturbo persistente della percezione da allucinogeno.
Alcuni degli utilizzatori di LSD di lunga data vivono esperienze generalmente denominate "flashback" e chiamate HPPD (Hallucinogen Persisting Perception Disorder - Disturbo persistente della percezione da allucinogeno) dai medici. Queste manifestazioni sono ricorrenze spontanee, ripetute e talvolta continue di alcune delle distorsioni sensoriali originariamente prodotte dall'LSD. Questo tipo di esperienze possono includere allucinazioni, ma più spesso consistono in disturbi visivi come nel vedere movimenti inesistenti ai margini del campo visivo, flash luminosi o colorati, aloni e tracciati lasciati dagli oggetti in movimento. Questa situazione solitamente è persistente ed in alcuni casi rimane invariata per anni dopo che un individuo ha smesso di usare la droga.
Dato che i sintomi dell'HPPD possono essere confusi con i sintomi di altri disturbi neurologici come ictus o tumori cerebrali, chi soffre di questi disturbi può consultare diversi specialisti prima di ottenere una diagnosi esatta del proprio malanno. Non esiste una cura riconosciuta per l'HPPD, sebbene alcuni antidepressivi possono ridurre i sintomi. La psicoterapia può aiutare i pazienti per quello che riguarda la confusione associata con le distrazioni visive e a ridurre la paura, espressa da alcuni, di soffrire di danni cerebrali o di disordini psichici.
Natura ed effetti della ketamina.
La ketamina ("k", "special K", "cat Valium") è un anestetico dissociativo sviluppato nel 1963 per rimpiazzare il PCP ed è correntemente usato come anestetico sugli esseri umani e in medicina veterinaria. La maggior parte della ketamina venduta sul mercato illecito proviene dagli uffici dei veterinari. Benché sia prodotta sottoforma liquida per essere iniettata, nel suo uso illecito la ketamina viene fatta evaporare per formare una polvere che può essere sniffata oppure compressa per formare delle pillole.

La struttura chimica della ketamina, i suoi meccanismi d'azione ed i suoi effetti sono simili a quelli del PCP, ma la ketamina è molto meno potente del PCP e produce effetti di durata molto inferiore. I consumatori descrivono sensazioni che vanno da una piacevole impressione di volare alla sensazione di essere staccati dal proprio corpo. Alcune volte l'uso di ketamina produce terribili sensazioni di un quasi completo distaccamento sensoriale che è paragonabile ad un'esperienza prossima alla morte. Queste esperienze, simili ai "bad trip" dell'LSD, sono chiamate "K-hole".
La ketamina non ha odore e sapore, così può essere aggiunto alle bevande senza essere rilevato, e produce amnesia. A causa di queste proprietà, questa droga è talvolta somministrata a vittime ignare e usata talvolta per commettere crimini sessuali e stupri.

ecstasy

Gli effetti ricercati dell'ecstasy non possono essere definiti propriamente allucinogeni. Al di là delle alterazioni nella percezione del tempo, infatti, l'ecstasy produce piuttosto tipiche modificazioni sul vissuto affettivo, come la sensazione di sentirsi più "vicino" agli altri e più capaci di comprendere e risolvere la realtà intrapsichica, l'euforia, la diminuzione delle paure e l'accrescimento della fiducia. L'assoluta specificità degli effetti, rende l'ecstasy una sostanza non riducibile ai tradizionali schemi con cui si classificano gli agenti psicoattivi. In tal senso, secondo taluni farmacologi, l'ecstasy costituirebbe il prototipo di una nuova classe di composti psicotropi, quella degli empatogeni.
L'ecstasy possiede anche la tipica azione farmacologica degli amfetaminici: eccitazione, rinforzo delle prestazioni psicomotorie, aumento della vigilanza, con abolizione del sonno e infine inibizione della fame.
Gli effetti positivi svaniscono in media dopo 4-6 ore dall'assunzione, lasciando il posto a sintomi di esaurimento psicofisico, come stanchezza, insonnia, lieve depressione.
La tolleranza si sviluppa per gli effetti piacevoli ma non per quelli secondari, cioè a dire che l'uso continuo o la progressiva assunzione di dosi più elevate aumentano gli effetti collaterali senza amplificare gli effetti piacevoli. Anche per tali ragioni, l'uso dell'ecstasy tende ad essere limitato e saltuario.

MECCANISMI D'AZIONE E TOSSICITA'

L'MDMA agisce a livello dei neuroni serotoninergici, le cellule nervose cioè che utilizzano la serotonina come trasmettitore. Come abbiamo visto, la serotonina è un mediatore nervoso che controlla importanti processi fisiologici come il sonno, i sogni, il tono dell'umore, la fame, la sete, la regolazione della temperatura corporea. I deficit e le alterazioni della trasmissione nervosa regolata dalla serotonina sembrano costituire la base biologica di alcune sindromi psichiatriche come la depressione e la schizofrenia. I farmaci antidepressivi come la fluoxetina (principio attivo del Prozac) agiscono potenziando la trasmissione serotoninergica.
L'ecstasy induce la liberazione della serotonina a livello della sinapsi, attivando in tal modo la trasmissione nelle popolazioni di neuroni che usano la serotonina come mediatore chimico. Gli effetti positivi e gratificanti dell'ecstasy sembrano dovuti a questa azione farmacologica.
Tale attivazione della trasmissione serotoninergica prodotta dall'ecstasy, tuttavia, sembra provocare, attraverso un meccanismo a retroazione cellulare, la riduzione della sintesi della serotonina. I deficit di serotonina che si registrano negli animali e nell'uomo in seguito ad assunzione di MDMA sarebbero così all'origine della depressione che spesso si instaura all'esaurirsi degli effetti della droga.
Il rischio tossicologico connesso all'MDMA come molecola pura è ancora piuttosto controverso. In primo luogo perché i dati sulla tossicità dell'ecstasy sono stati ottenuti da ricerche in vitro e sugli animali. Le condizioni sperimentali, le differenze di specie, dosi, frequenza via e condizioni di assunzione e metabolismo rendono impossibile una estrapolazione diretta di tali studi all'uomo. Nei ratti, la somministrazione ripetuta di ecstasy provoca un deficit di serotonina piuttosto duraturo e la degenerazione delle terminazioni nelle cellule serotoninergiche in diverse regioni del cervello. Anche la fenfluramina possiede la stessa azione tossica sul cervello di ratto. Ciononostante, tale amfetamina viene largamente usata come farmaco (Dima-fen, Pesos, Ponderal, in Italia tali farmaci sono stati banditi dall Commissione Unica del Farmaco soltanto nel settembre 1997) per curare l'obesità, senza che vengano segnalati, alle dosi terapeutiche, effetti collaterali importanti.
Del tutto certa è, invece, la tossicità dell'Ecstasy come droga di strada reperibile sul mercato illecito. L'MDMA viene prodotta in laboratori clandestini molto spesso improvvisati, in condizioni igieniche inadeguate e da operatori con preparazione chimica approssimativa. Per questa ragione, nelle dosi vendute in strada sono presenti prodotti intermedi, sostanze contaminanti, solventi e reagenti chimici non completamente rimossi, altamente tossici, alcuni dei quali cancerogeni. Tra queste sostanze, il piombo occupa la parte principale, arrivando a rappresentare anche il 50-60% della composizione delle dosi di strada.

canapa indiana

Gli effetti della canapa indiana sono estremamente variabili. Essi sono diversi da individuo ad individuo in quanto dipendono dalla qualità e dalla quantità della dose, dalla via di assunzione, dal contesto in cui la droga viene assunta, dalle aspettative, e dalla base biologica individuale su cui si va ad esercitare l'azione psicotropa della sostanza.
Esiste comunque una serie di effetti più caratteristici e ricorrenti così descrivibile:
- senso di distacco dal mondo, benessere, euforia;
- sedazione e sonnolenza;
- distorsione del senso del tempo, dello spazio e della visione;
- occasionalmente, illusioni ed allucinazioni.
L'uso della canapa sembra portare una diminuzione delle prestazioni psicofisiche, nell'attenzione, nei tempi di reazione, nella coordinazione motoria, nella percezione.
Pare dimostrato che l'abuso di canapa non provochi dipendenza fisica. Negli abituali consumatori può presentarsi invece una forma di dipendenza psicologica, indotta sia dal piacere che essi riferiscono di provare attraverso la sostanza, sia - forse soprattutto - da fattori d'ordine sociale, come i condizionamenti del gruppo di cui essi fanno parte e il desiderio dell'aggregazione ottenuta col "rituale" dell'assunzione collettiva di canapa.

MECCANISMI D AZIONE E TOSSICITA'

La ricerca sui meccanismi d'azione della canapa ha portato negli ultimi anni all'identificazione di recettori cerebrali per il tetraidrocannabinolo, il principio psicoattivo presente nella marihuana e nell'hashish. Recettori per il tetraidrocannabinolo sono stati localizzati a livello dell'ippocampo, una struttura del sistema limbico che possiede un ruolo importante nei processi di apprendimento e memorizzazione. Zone cerebrali ricche di recettori per i cannabinoli sono presenti nell'ipotalamo, centro nervoso dell'adattamento fisiologico (fame, sete, regolazioni del sistema ormonale, ecc.), nel cervelletto e nei gangli della base, organi centrali per il coordinamento motorio. Questo potrebbe spiegare alcuni effetti della canapa, come quello di stimolare l'appetito e di ridurre la coordinazione motoria.
La presenza di recettori cerebrali per i cannabinoli suggeriva l'esistenza di una molecola naturalmente prodotta dal sistema nervoso capace di legarsi a tali strutture cellulari e di provocare effetti simili a quelli della canapa: un cannabibolo organico. Questa sostanza è stata scoperta nel 1992 dal chimico israeliano Raphael Mechoulam, che ha voluto chiamarla "anandammide", da Ananda (fonte di vita e felicità), l'epiteto sanscrito con cui gli indiani indicavano la canapa.
L'uso della canapa provoca cambiamenti strutturali e funzionali nell'ippocampo e ciò potrebbe spiegare il calo nel rendimento nei tests cognitivi (sull'apprendimento e sulla memoria) che si riscontra mediamente nei consumatori di marijuana e hashish. Questo effetto tipico si amplifica nei casi di assunzione di elevate dosi di canapa fino a giungere al quadro clinico di una specifica sindrome, che è stata chiamata "disintegrazione temporale", i cui sintomi sono la tendenza a confondere passato, presente e futuro, spersonalizzazione, senso di irrealtà. I consumatori cronici di marijuana inoltre sembrano esibire una perdita di interesse e motivazioni verso le cose ed una generale apatia, presentano quella che è stata definita "sindrome amotivazionale". Le cause di tale quadro di alterazioni comportamentali sono però ancora controverse. Il ruolo dei fattori psicologici e sociali, infatti, possiede in questo caso un peso determinante, probabilmente superiore a quello proprio della pura azione farmacologica della canapa.
Dato che la canapa viene comunemente fumata, le affezioni più comuni tra i suoi consumatori sono quelle delle vie respiratorie. Piuttosto sensibile è l'incidenza dell'uso della canapa sugli equilibri ormonali, soprattutto quelli destinati alla regolazione delle funzioni e del comportamento sessuale. Controverso è invece l'impatto della canapa indiana sul sistema immunitario e quindi la possibilità che l'uso cronico di questa sostanza riduca la resistenza alle malattie.

sostanze di sintesi

AMFETAMINE

e amfetamine sono un gruppo di sostanze di sintesi messe a punto negli anni '30 come farmaci per la terapia dell'asma. Le amfetamine possiedono infatti, oltre alle proprietà stimolanti, euforizzanti ed anoressizzanti, un'azione broncodilatatrice. Gli effetti delle amfetamine, eccetto che per l'azione anestetica, coincidono con quelli propri della cocaina. Anche i sistemi nervosi su cui agiscono le amfetamine corrispondono a quelli interessati dall'azione della cocaina. Le amfetamine inibiscono il riassorbimento della dopamina da parte delle terminazioni nervose dopo la neurotrasmissione e determinano un maggiore rilascio di tale neurotrasmettitore da parte dei neuroni che lo contengono. Le molecole di amfetamina possiedono inoltre una somiglianza strutturale la noradrenalina, un neurotrasmettitore, come abbiamo visto, implicato nell'attivazione cerebrale e nella regolazione emozionale. Ciò contribuisce a spiegare le proprietà psicostimolanti di tale sostanza d'abuso.

TOSSICITA'

Le amfetamine, come la cocaina, producono il fenomeno della tolleranza inversa ad alcuni degli effetti (soprattutto quelli psicotropi), mettendo a maggior rischio di overdose proprio coloro che assumono abitualmente tali sostanze. Gli effetti della cocaina e delle amfetamine che vanno incontro a tolleranza inversa sono praticamente identici (sensibilizzazione crociata). È pertanto inutile e pericoloso, per chi fa uso abituale di una di queste sostanze stimolanti, passare all'uso dell'altra per evitare la sindrome da iperdosaggio.
Nell'uso cronico, l'astinenza produce, come la cocaina, forte depressione psicofisica e quindi bisogno irresistibile di amfetamine. Per questa ragione la dipendenza a tali sostanze è soprattutto di natura psicologica.
La tossicità acuta e cronica delle amfetamine ricalca in gran parte quella descritta per la cocaina. Le amfetamine sembrano però avere una diversa tossicità sul sistema nervoso centrale. Sugli animali sottoposti a forti dosaggi di amfetamine è stata osservata infatti una degenerazione permanente dei neuroni contenenti dopamina, con una conseguente incapacità di sperimentare il piacere e la ricompensa (anedonia). Ciò potrebbe spiegare l'anedonia persistente talvolta riferita dai forti consumatori di amfetamine.

alcaloidi

COCAINA
La cocaina è il principale alcaloide delle foglie della pianta di Coca. Gli effetti e la tossicità della cocaina sono condizionati dalla modalità e dal tipo di forma con cui viene assunta. Fattori fondamentali sono la velocità di assorbimento e la concentrazione della cocaina nella forma in cui viene assunta.
La forma più diffusa in cui si presenta la cocaina è quella della cosiddetta cocaina di strada. Tale presentazione è abbondantemente adulterata da tagli più o meno attivi farmacologicamente (una dose presenta mediamente non più del 50-60% di cocaina), per cui gli effetti e la tossicità (purtroppo sempre maggiore nelle droghe spacciate) sono molto diversi da quelli propri della cocaina pura.
La cocaina viene assunta attraverso:
- il fumo dei prodotti di combustione allo stato solido: pasta di coca;
- il fumo dei vapori: free-base e crack, un metodo caratterizzato da grande velocità di assorbimento, rapidità e quindi anche bevità degli effetti, la cocaina in tali presentazioni non supera le concentrazioni del 50%;
- la via orale, per ingestione, un uso che comporta un assorbimento piuttosto lento e scarso, con effetti non intensi ma più persistenti;
- la via intranasale, attraverso il cosiddetto sniffo, il metodo più diffuso, facile e caratterizzato da grande velocità di assorbimento, intensità e brevità degli effetti;
- la via endovenosa, quella più pericolosa in quanto permette l'assorbimento completo della sostanza e determina alte concentrazioni di cocaina nel sangue in tempi ridottissimi;
- per assorbimento delle mucose orali.

La cocaina possiede principalmente tre tipi di effetti:
- anestetico a livello locale;
- simpaticomimetico, cioè a dire riproduce le risposte fisiologiche dell'attivazione del sistema nervoso simpatico: tachicardia, vascocostrizione, ipertermia, aumento della pressione arteriosa, ecc.;
- stimolante del sistema nervoso centrale: aumenta la vigilanza, induce euforia, acuisce le sensazioni percettive, dà un senso di accresciuta forza fisica e capacità mentale, abolisce il sonno e la fame. Gli effetti psicologici sono di natura estremamente variabile in quanto dipendono dagli stati emotivi e dalle aspettative connesse all'assunzione della sostanza e dal valore accreditato alla cocaina. L'effetto preminente è comunque quello dell'aumento del senso dell'Io, che può andare però dalla semplice all'amplificazione parossistica dell'ego, con degenerazioni psicopatologiche di carattere maniacale (megalomania, manie di persecuzione, ansie di carattere paranoico).
La cocaina assunta per via intranasale agisce in maniera estremante rapida, raggiungendo in pochi secondi il cervello e provocando una brevissima sensazione di intenso piacere, il rush. La velocità d'azione farmacologica della cocaina, però, fa sì che l'euforia che si instaura dopo il rush svanisca dopo una trentina di minuti, lasciando il soggetto in condizioni di ansia, depressione ed irritabilità (stato cui i consumatori abituali si riferiscono col termine down) ed inducendolo a ripetere l'assunzione della dose. Questa modalità d'assunzione, pertanto, conduce facilmente al consumo cronico della cocaina e allo svilupparsi della dipendenza.
La natura degli effetti della cocaina varia non soltanto in dipendenza dell'entità della dose, ma anche con la frequenza con la quale essa viene assunta. L'abuso cronico di cocaina conduce, infatti, alla cosiddetta tolleranza inversa, un fenomeno per cui il soggetto diviene via via più sensibile ad alcuni degli effetti, nel caso della cocaina a quelli psicotomimetici, gli effetti cioè che imitano stati psicotici (allucinazioni, deliri, paranoie).
Con l'uso abituale, il malessere psicofisico che si accompagna all'esaurimento degli effetti della cocaina diviene sempre più spiacevole e difficile da sopportare e si configura come una reale sindrome d'astinenza, i cui sintomi principali sono la depressione, l'esaurimento fisico, l'irritabilità e soprattutto il desiderio compulsivo e irrefrenabile della cocaina. La prostrazione che segue tale stato in gergo viene appropriatamente chiamata crash.

MECCANISMI D'AZIONE

Gli effetti della cocaina sul sistema nervoso centrale sono dovuti all'azione che essa esercita sulla neurotrasmissione mediata dalla dopamina. La dopamina è il neurotrasmettitore fondamentale del sistema di ricompensa cerebrale ed entra in azione in tutte le situazioni in cui si sperimentano sensazioni gratificanti e piacevoli.
La cocaina impedisce il riassorbimento della dopamina da parte delle terminazioni nervose, ciò determina un aumento della disponibilità del trasmettitore nervoso a livello sinaptico e un incremento della trasmissione nervosa dopaminergica e quindi una iperfunzionalità dei sistemi cerebrali del piacere e della ricompensa.
L'iperfunzionamento cronico di tali sistemi indotto dalla cocaina porta ad un deficit della dopamina. La carenza di dopamina così instauratasi provoca, quando viene a mancare la stimolazione della cocaina, il blocco della trasmissione nei sistemi di ricompensa e del piacere nel cervello. Questo fenomeno è alla base della depressione e dell'esaurimeno psicofisico che compaiono durante l'astinenza nei cocainomani.

COMPLICANZE MEDICHE

Le reazioni negative all'intossicazione acuta da cocaina investono sia la sfera fisica che quella psichica. I disturbi fisici caratteristici sono quelli della tachicardia, della sudorazione, delle contratture muscolari, della nausea, dei tremori, della anoressia e dell'insonnia. Per quanto riguarda gli aspetti psicologici e comportamentali vanno annoverati l'ipereccitazione, l'ansia, la tensione, l'aggressività e le allucinazioni. Molto spiacevoli sono inoltre i sintomi che si instaurano dopo l'esaurirsi dell'effetto, soprattutto la depressione.
L'intossicazione acuta da iperdosaggio di cocaina si manifesta in maniera piuttosto drammatica con deliri, allucinazioni, comportamenti aggressivi e violenti, polso irregolare, collasso, infarto al miocardio e al cervello, convulsioni, shock, coma, ictus, arresto del respiro.
L'abuso continuato di cocaina porta ad una riduzione dell'attività metabolica dei neuroni cerebrali e quindi ad una diminuzione della loro funzionalità (Fig. 25). L'intossicazione cronica di cocaina può portare a un vistoso deperimento organico (per anoressia e insonnia) e a gravi turbe neurologiche e psichiatriche. Le alterazioni neurologiche sono rappresentate da tremori, tic, corea, attacchi epilettici, convulsioni e paralisi. Le turbe psichiatriche tipiche dell'abuso cronico di cocaina sono invece le manie, i comportamenti ripetitivi e stereotipati, i deliri paranoici.
L'uso cronico di cocaina può determinare epatiti tossiche, disturbi respiratori (nel ritmo e nella profondità), perforazione del setto nasale (nel caso di assunzione per via intranasale), infiammazione delle vie aeree e broncospasmo nel caso di fumo di crack. L'uso continuativo di cocaina produce alterazioni al sistema endocrino, influendo soprattutto sugli equilibri ormonali che controllano le funzioni sessuali.
Col progredire dell'intossicazione cronica, contrariamente a quanto succede per gli eroinomani, il fenomeno della tolleranza inversa espone i cocainomani a un rischio sempre maggiore di overdose. Parecchi sono i sintomi che indicano che si sta raggiungendo il livello di iperdosaggio, esponendosi quindi ai rischi, talvolta anche mortali, in esso implicati: sudore freddo, pallore, ansia, aggressività, insonnia, eccessiva irritabilità. Chi consuma cocaina dovrebbe prestare estrema attenzione a questi sintomi. Essi infatti indicano che l'organismo non è più in grado di tollerare ulteriori dosi di cocaina e che l'overdose è alle porte.
L'uso di cocaina da parte delle donne in gravidanza può causare rottura della placenta e aborto. I neonati di madri cocainomani hanno uno sviluppo ponderale minore della media, presentano molto spesso delle anomalie nell'attività elettroencefalografica e possono talvolta manifestare il quadro tipico della sindrome d'astinenza alla cocaina. La cocaina è presente nel latte di donne dedite a tale droga e viene pertanto assunta dal neonato in allattamento.

oppioidi

Meccanismi d'azione e tossicità
Con il termine oppioidi si indicano le sostanze derivate dall'oppio, come la codeina, la morfina che ne è l'alcaloide principale, e gli altri derivati semisintetici di quest'ultima molecola, prima fra tutti la diacetilmorfina: l'eroina.
Esistono forti somiglianze strutturali tra alcune parti delle molecole di oppioidi e le endorfine. Per questa ragione, gli oppioidi sono in grado di modulare le funzioni dei neuroni che presentano recettori per le endorfine, legandosi ad essi. Gli effetti indotti dall'assunzione di oppioidi, pertanto, sono mediati dalle alterazioni funzionali da essi prodotte sulle strutture cerebrali in cui sono localizzati i recettori per le endorfine.
Gli oppioidi, come le endorfine, possiedono di norma una attività di tipo inibitorio sulle funzioni dei neuroni. L'attività inibente sui neuroni delle strutture che possiedono recettori per le endorfine, illustrate nel capitolo sul cervello, ci fa comprendere le basi biologiche dei maggiori effetti degli oppioidi a livello cerebrale.
L'azione principale degli oppioidi a livello del sistema nervoso è quella analgesica. La morfina è ancora oggi l'antidolorifico più efficace ed usato nella pratica medica. Gli oppioidi riducono l'attività dei neuroni presenti nelle strutture implicate nella percezione delle varie componenti del dolore. L'effetto analgesico della morfina si realizza quindi in maniera duplice: da una lato innalza la soglia percettiva del dolore, riducendo quindi l'intensità della stimolazione dolorifica percepita, e dall'altro - soprattutto - attenua la componente emotiva del dolore. Per cui il soggetto continua ad avvertire il dolore ma non sperimenta l'ansia, la paura e l'afflizione psicologica solitamente congiunta alla sofferenza fisica.
Gli oppiodi, quindi, inibiscono le funzioni dei centri della respirazione e della tosse, deprimendo così la ventilazione polmonare, tanto che gran parte dei decessi immediati da overdose di eroina è determinata da insufficienza respiratoria.
Gli oppioidi, infine, abbassano l'attività dei neuroni del locus coeruleus e del sistema limbico, generando una serie di effetti a livello emotivo di natura soggettivamente variabile, che dipendono non soltanto dall'azione farmacologica della sostanza ma da fattori d'ordine psicologico e condizionamenti di tipo culturale (motivazioni all'abuso di droga, aspettative, profilo caratteriale, valore culturale dell'abuso, ecc.). Nella grande variabilità soggettiva degli effetti psicologici emergono tuttavia dei tratti emotivi in qualche modo ricorrenti in ogni soggetto che fa uso di oppioidi e che sono forse da addebitare all'azione inibitoria di tali sostanze sulle strutture anatomiche implicate nel comportamento emotivo e motivazionale: una sensazione di distacco dal mondo e di disinteresse verso le cose, una forte tendenza all'apatia e l'assenza di ogni preoccupazione. È probabilmente questa sorta di anestesia emotiva (con la connessa abolizione di ogni stress) a rendere desiderabili gli oppioidi soprattutto alle persone con problemi di adattamento. L'abuso di oppioidi, in tal senso, rappresenterebbe il tentativo di aggiustare gli equilibri biopsicologici in qualche modo compromessi, attenuando artificialmente la connotazione emotiva delle esperienze e delle circostanze esistenziali.
L'assunzione endovenosa di eroina provoca in pochi secondi quello che nel gergo dei tossicodipendenti viene chiamato "flash", l'esplosione di un intenso piacere, simile all'orgasmo sessuale, con sensazioni di caldo ed euforia. Questo stato acuto, che generalmente si esaurisce nel giro di un solo minuto, è accompagnato da prurito, restringimento delle pupille, abbassamento del ritmo cardiaco e della pressione arteriosa. Segue quindi un marcato rallentamento dei processi ideomotori ed uno stato di sonnolenza. L'assunzione di oppioidi inibisce inoltre la liberazione di sostanze prodotte da un importante centro nervoso, l'ipotalamo, attraverso le quali il cervello controlla e dirige le funzioni dell'ipofisi, la ghiandola maestra del sistema endocrino. In tal modo, gli oppioidi scompensano gli equilibri ormonali, in special modo quelli che sono alla base del normale funzionamento dell'apparato riproduttivo.
Notevole è anche l'azione a livello gastrointestinale. Gli oppioidi riducono la secrezione di acido cloridrico nello stomaco, della bile e del succo pancreatico a livello dell'intestino e ritardano in tal modo i processi digestivi. La motilità intestinale è fortemente depressa, tanto che a livello dell'intestino crasso le onde peristaltiche sono di fatto abolite e ciò, unitamente all'inibizione dello stimolo sensoriale che a livello cerebrale determina il riflesso della defecazione, spiega il marcato effetto costipante della morfina e dell'eroina.

TOLLERANZA E DIPENDENZA

Sicuramente più gravi e complesse delle alterazioni connesse all'uso e all'abuso degli oppioidi appena descritte sono le intricate problematiche biopsicologiche della tolleranza e della dipendenza a tali sostanze. La tolleranza, cui comunemente ci si riferisce con il termine improprio di assuefazione, è in generale il fenomeno biologico dell'adattamento dell'organismo alla presenza di sostanze tossiche e per il quale si dà una progressiva riduzione degli effetti farmacologici a parità di dose. La tolleranza, in sostanza, costringe un individuo ad assumere dosi sempre crescenti di droga per ottenere gli stessi effetti. In generale, la tolleranza dipende:
- dalla modificazione nella sintesi e nell'eliminazione del neurotrasmettitore attraverso il quale agisce la droga;
- da modificazioni a livello dei recettori su cui la sostanza agisce;
- da aggiustamenti funzionali esplicati dagli apparati nervosi su cui agisce la droga e da altre strutture organizzate del cervello da essa non direttamente influenzate, che tendono a contrastare e a compensare le alterazioni prodotte dalle sostanze psicoattive.
Nel caso della tolleranza alla morfina e all'eroina, l'apporto di oppioidi dall'esterno costringe i neuroni a contenere l'incremento della stimolazione dei siti recettoriali per le endorfine, su cui gli oppioidi vanno ad agire. Ciò si ottiene diminuendo da un lato la densità dei recettori per le endorfine e inibendo dall'altro la loro sintesi. L'uso cronico degli oppioidi, in definitiva, porta i neuroni dei sistemi regolati dalle endorfine a delegare le funzioni di controllo alla droga. Essi divengono di fatto incapaci di agire senza la presenza della sostanza tossica. Ciò porta ad una progressiva riduzione della risposta alla droga e alla necessità di un continuo apporto esterno di oppioidi per permettere il normale funzionamento dei sistemi endorfinici, cioè a dire alla dipendenza fisica. È questa la ragione per la quale l'interruzione improvvisa dell'assunzione dell'eroina nei tossicodipendenti provoca l'insorgenza drammatica della sindrome d'astinenza. L'assunzione abituale di oppioidi determina inoltre l'attivazione compensatoria della trasmissione neuronale nei circuiti inibiti dalla droga. Ciò innesca un circolo vizioso fisiologico. L'ipereccitabilità di tali circuiti nervosi, infatti, comporta a sua volta la necessità di dosi sempre più elevate di oppioidi per essere controllata, provocando così un progressivo innalzamento del livello di tolleranza e una dipendenza fisica sempre più dura. L'iperfunzionalità compensatoria si esprime prepotentemente nella sindrome d'astinenza, quando, con l'interruzione dell'assunzione di oppioidi, viene a mancare la sostanza che ne controllava le manifestazioni.
Anche un altro neurotrasmettitore sembra coinvolto nei fenomeni della tolleranza e della dipendenza agli oppioidi: la noradrenalina. Il locus coeruleus, infatti, la stazione d'origine delle fibre contenenti noradrenalina, presenta recettori per gli oppioidi. La somministrazione di queste ultime sostanze produce inibizione dell'attività elettrica del locus coeruleus e la sua stimolazione provoca effetti simili a quelli della sindrome d'astinenza. L'inibizione da oppioidi dei neuroni contenenti noradrenalina del locus coeruleus si riduce dopo ripetute somministrazioni, al contrario, l'interruzione della somministrazione delle stesse sostanze induce un aumento dell'attività di tali neuroni.
La dipendenza possiede inoltre una forte compenente psicologica, quella che soggiace all'impellente desiderio, all'assoluta necessità della droga (quello che gli anglossassoni chiamano Craving). La dipendenza psicologica deriva dalla gratificazione che l'individuo ottiene dall'assunzione della droga e dalla necessità di evitare il malessere che sperimenta quando ne è privo (la sindrome d'astinenza). Pur avendo una base biologica, la dipendenza psicologica è soprattutto il prodotto di rappresentazioni affettive e cognitive, per cui le sue manifestazioni sono assolutamente soggettive e collegate ad esperienze individuali e contesti socio-culturali.

PATOLOGIE

La patologia più grave direttamente legata all'abuso di oppioidi è la sindrome da iperdosaggio, l'overdose. Il sintomo più grave dell'iperdosaggio da oppioidi è la depressione respiratoria, che può portare alla morte immediata per insufficienza respiratoria, per asfissia. Marcata è anche una generale inibizione delle funzioni del sistema nervoso centrale che può portare al coma. È presente quindi una grave depressione cardiovascolare che determina notevoli alterazioni nei processi di scambio dei liquidi tra sistema circolatorio e tessuti e quindi accumulo di fluidi negli spazi tra le cellule degli organi (edema), soprattutto del cervello e dei polmoni. I decessi da complicazioni da overdose sono dovuti nella maggior parte dei casi a gravi edemi cerebrali acuti.
L'overdose può causare inoltre problemi vascolari, come la formazione di trombi (masse semisolide di elementi del sangue coagulati nei vasi) nelle arterie cerebrali. L'occlusione delle arterie determinata dalla presenza dei trombi provoca una insufficiente irrorazione sanguigna (ischemia) delle cellule cerebrali e quindi la loro morte. Ciò porta a deficit più o meno seri nelle funzioni svolte dalle parti del cervello colpite da ischemia. L'overdose induce frequentemente l'insorgenza di un delirio acuto, che generalmente si risolve in pochi giorni ma che, talora, può anticipare lo svilupparsi di demenze organiche e deterioramenti cognitivi.
La gran parte dei decessi connessi all'uso di eroina, tuttavia, non sembra imputabile a iperdosaggio dell'oppioide. La morte da reale overdose generalmente si dà nei soggetti che non hanno sviluppato tolleranza alla droga, e questo non è il caso dei tossicodipendenti, ma di coloro che assumono l'eroina per la prima volta o dei tossicomani disintossicati che si riavvicinano nuovamente all'eroina. Per comprendere le cause dei decessi dei tossicodipendenti, in numero di gran lunga superiore a quello registrato nelle fila dei neofiti dell'eroina, invece, occorre tenere presente, in primo luogo, che l'eroina di strada è una miscela di più sostanze e che molto spesso l'autosomministrazione della droga è accompagnata dall'assunzione di altre sostanze intossicanti, come droghe diverse dall'eroina, alcool e psicofarmaci (benzodiazepine e barbiturici). Molti casi di morte sono dovuti infatti dalla deliberata ingestione di l'alcool e di farmaci tranquillanti, sostanze che amplificano taluni effetti letali propri dell'eroina, come quello di inibizione della respirazione e delle funzioni cardiovascolari. Molti altri decessi sono invece da imputare a altri fenomeni di sommazione della tossicità, quelli dovuti alle varie sostanze usate per il "taglio", dell'eroina spacciata in strada, dalla stricnina al chinino, dal talco all'efedrina, dalla nicotina al cianuro, dall'acido salicilico all'amido. Non infrequenti sono inoltre i casi di morte per shock anafilattico, per reazioni immunitarie acute alle sostanze da taglio o ad altre impurità presenti nell'eroina di strada.

Sindrome d'astinenza
Un'altra patologia direttamente connessa alla dipendenza da oppioidi è la sindrome d'astinenza. La sindrome d'astinenza si determina nei soggetti tossicodipendenti in seguito alla sospensione dell'assunzione abituale di droga. La sua gravità dipende dalla gravità della dipendenza sviluppata verso la sostanza di cui fa abuso. Nel caso della sindrome d'astinenza da oppioidi si presentano, per un effetto di rimbalzo, dei sintomi clinici di segno opposto a quello determinato dall'assunzione di tali sostanze. Avremo quindi in successione: ansia, irritabilità, sudorazione, lacrimazione, secrezioni nasali, tremori muscolari, piloerezione, anoressia, insonnia, ipertensione, tachicardia, nausea, vomito, diarrea, eiaculazione spontanea o orgasmo, insufficienza renale, ed infine una serie di alterazioni a carico del sangue. Nei casi di forte dipendenza all'eroina, la sindrome può cominciare addirittura dopo sole otto ore dall'ultima assunzione della droga. Il picco di gravità dei sintomi viene raggiunto verso i tre giorni e può durare per 48 ore. La sindrome infine si risolve dopo 7-10 giorni dal suo inizio con la scomparsa dei sintomi dell'astinenza e la disintossicazione fisica. La normalizzazione completa degli equilibri fisiologici richiede tuttavia molto più tempo e alcune patologie contratte con la tossicodipendenza possono permanere per il resto della vita. Anche la dipendenza psicologica possiede vita molto più lunga di quella fisica. Il bisogno (craving) di droga, evocato dal ricordo del piacevole distacco dal mondo connesso all'uso dell'eroina o da altri fattori psichici e sociali, può restare presente e indurre ad un uso di tipo recidivo, con ripetitute remissioni e ricadute nella tossicodipendenza.

Patologie non direttamente connesse agli oppioidi
La tossicodipendenza e, in particolare, l'eroinomania portano, indipendentemente dalla presenza dell'AIDS, a notevoli disturbi delle funzioni del sistema immunitario e quindi diminuiscono la resistenza alle malattie. Per questa ragione, unitamente alla relativa cura dell'igiene cui sono costretti coloro che fanno uso di eroina di strada (scambio di siringhe, promiscuità sessuale, cattiva igiene degli strumenti per la preparazione e l'assunzione della dose, contaminazione batterica delle dosi acquistate, ecc.), le infezioni batteriche e virali hanno in questo gruppo sociale un'incidenza notevolmente maggiore che nel resto della popolazione. Esse sono responsabili di alcune delle numerosissime affezioni di varia gravità che colpiscono gli eroinomani, tra le quali:
- setticemie, con o senza endocarditi (infiammazioni delle membrane delle valvole e delle pareti interne del cuore ad elevata mortalità);
- polmoniti;
- infezioni delle ossa, delle articolazioni e dei reni;
- epatiti virali;
- AIDS;
- Toxoplasmosi;
- Citomegalovirus;
- ascessi, lesioni e ulcere della pelle;
- infiammazioni dei vasi
A livello polmonare, la presenza di corpi estranei o di sostanze da taglio per l'eroina può causare l'insorgenza di granulomi. Gli eroinomani sono maggiormente esposti al rischio di contrarre la tubercolosi rispetto alla popolazione generale. Negli eroinomani si possono osservare, inoltre, pleuriti purulente, asma, embolie da infezione microbica.
Un disturbo al sistema nervoso correlato alla eroinomania piuttosto diffuso è quello dell'ambliopia tossica da chinino. Il chinino, usato per tagliare l'eroina di strada, esercita un'azione tossica sulle strutture del sistema nervoso preposte alla sensibilità visiva e quindi la sua assunzione abbassa la vista sino a provocare la cecità. L'eroina di strada è spesso prodotta da chimici improvvisati che tavolta possono giungere a sintetizzare e quindi spacciare sostanze estremamente tossiche per i tessuti cerebrali. È il caso dell'MPTP, un'eroina sintetica capace di distruggere selettivamente i nuclei cerebrali preposti al controllo del movimento e di provocare, nel giro di poche ore dall'iniezione, forme gravissime di parkinsonismo, sino alla completa rigidità muscolare.

Eroina e funzioni sessuali e riproduttive
L'eroina interferisce con la regolazione centrale del sistema endocrino e quindi altera le funzioni in cui sono implicati processi ormonali. Le funzioni sessuali risultano vistosamente influenzate. Si manifestano nell'uomo una diminuzione della libido sessuale, impotenza, eiaculazione ritardata, diminuzione della fertilità. Nella donna, invece, sono comuni le turbe al ciclo mestruale.
Le eroinomani presentano in media un maggiore rischio di aborti spontanei e parti prematuri. I bambini di madri eroinomani hanno uno sviluppo fetale minore della media e, al contrario, una mortalità superiore. Un elevato rischio di mortalità è quello connesso alla manifestazione nei neonati della sindrome d'astinenza. La dipendenza fisica all'eroina infatti si trasmette dalla madre al feto e conseguentemente il neonato va immediatamente trattato con terapia farmacologica adeguata.

i neurotrasmettitori

Esistono tre tipi di neurotrasmettitori. Il primo tipo comprende i neurotrasmettitori più diffusi nel cervello e dotati di struttura proteica più semplice, come l'acido gamma-ammino-butirrico (GABA) e l'acido glutammico. Il GABA, neurotrasmettitore inibitorio, e l'acido glutammico, mediatore chimico eccitatorio, hanno un'azione rapida e marcata a livello delle sinapsi.
I neurotrasmettitori del secondo tipo, come l'acetilcolina, la serotonina, la dopamina, la noradrenalina e le endorfine hanno una concentrazione cerebrale piuttosto bassa rispetto a quelli del primo tipo, ma ciò non significa che siano meno importanti. Tali mediatori chimici infatti sono coinvolti in maniera più o meno diretta nel controllo e nella regolazione del comportamento, dei processi cognitivi e soprattutto delle emozioni. La loro azione si esplica in maniera più lenta e meno marcata rispetto ai mediatori del primo tipo, ma tende ad essere più persistente e a diffondersi, come nel caso della noradrenalina, attraverso la circolazione sanguigna, anche su apparati funzionali diversi dal sistema nervoso, soprattutto su quello ormonale.
Questa proprietà accomuna invece gran parte dei neuropeptidi, la classe dei neurotrasmettitori del terzo tipo. I neuropeptidi sono molecole proteiche complesse la cui recente scoperta ha rivoluzionato il modo di concepire le funzioni del sistema nervoso e le correlazioni tra questo organo e gli altri apparati funzionali, costringendo a rivedere la classica divisione tra funzioni del sistema nervoso e funzioni del sistema endocrino. A differenza degli altri trasmettitori nervosi, infatti, la maggior parte dei neuropeptidi può essere rilasciata sia da neuroni che da cellule paraneuronali localizzate in tessuti od organi non nervosi, come l'intestino, il cuore e il pancreas. La liberazione dei neuropeptidi è regolata dal sistema nervoso ed è determinata dal passaggio di una corrente bioelettrica, ma la loro azione sui vari organi bersaglio si esplica in maniera identica a quella propria di un ormone.
L'azione dei neuropeptidi è di fondamentale importanza per l'integrazione delle attività dei vari organi e garantisce la coordinazione funzionale tra meccanismi fisiologici e processi comportamentali. La loro attività possiede, così, un carattere ubiquitario in quanto si esplica, allo stesso tempo, sul sistema nervoso centrale e sugli altri organi periferici. Il TTHRF (TRF), un neuropeptide rilasciato dall'ipotalamo, ad esempio stimola a livello periferico la secrezione di ormoni tiroidei, producendo quindi attivazione metabolica generale. Dal punto di vista funzionale, ciò corrisponde all'azione di tale neuropeptide a livello del sistema nervoso centrale, dove induce un aumento della vigilanza, del tono dell'umore e dell'attività motoria.
Una famiglia molto importante di neuropeptidi è rappresentata dalle endorfine. Le endorfine modulano la percezione del dolore ed il tono dell'umore e sono dotate di una potente azione morfino-simile. Per questa ragione, la loro scoperta, fatta nel 1975 da John Hughes e Hans Koesterlitz dell'Università di Aberdeen, ha permesso di gettare luce sui meccanismi d'azione dei derivati dell'oppio e sulla basi biologiche della dipendenza da eroina.

GABA
Il legame tra GABA e relativo recettore determina un cambiamento chimico nella membrana del neurone bersaglio che rende quest'ultimo refrattario a eventuali stimoli eccitatori. Il GABA, pertanto, esercita un'azione di inibizione della trasmissione nervosa. I recettori specializzati per il GABA rappresentano il substrato anatomico sul quale agiscono i farmaci tranquillanti ed ansiolitici. Gli ansiolitici si legano ai recettori del GABA e ne mutano la forma, aumentandone l'affinità col neurotrasmettitore. Ciò a sua volta determina un potenziamento dell'azione del GABA ed una maggiore inibizione dell'attività bioelettrica del cervello. Tali farmaci, così, non riducono l'ansia per una loro propria esclusiva virtù terapeutica, ma rendono soltanto più agevole la naturale azione tranquillante del GABA.

Acido glutammico
L'azione dell'acido glutammico sui relativi recettori invece aumenta l'eccitabilità neuronale ed innalza conseguentemente il consumo energetico delle cellule nervose.
L'acido glutammico o glutammato viene usato in cucina per il suo gradevole sapore di carne. Un eccessivo uso di glutammato, nella forma di "dado", salsa di soia o di altri prodotti per insaporire i cibi può indurre uno stato di ipereccitazione ed insonnia, con forte cefalea. Questa sintomatologia è stata chiamata «sindrome cinese», in quanto si presenta con relativa frequenza dopo i pasti nei ristoranti cinesi, dove si fa un maggiore uso di glutammato rispetto alla cucina occidentale.

Acetilcolina
L'aceticolina è il mediatore del sistema nervoso parasimpatico e delle sinapsi che si collegano ai gangli del sistema nervoso simpatico e svolge funzioni di neurotrasmettitore a livello del sistema nervoso centrale. In questa ultima divisione, l'acetilcolina rappresenta il mediatore di vie nervose implicate nella trasmissione dei segnali motori verso i muscoli scheletrici e nell'attivazione cerebrale.

Dopamina
La dopamina è il neurotrasmettitore fondamentale del cervello emozionale. Essa svolge un ruolo fondamentale nella regolazione dei comportamenti adattativi e delle componenti affettive che li accompagnano rinforzandoli. La dopamina è uno dei principali neurotrasmettitori dei nuclei della base che coordinano il comportamento motorio, come la sostanza nera. I sintomi del morbo di Parkinson, quali la rigidità e il tremito, dipendono da deficit nelle funzioni del sistema dopaminergico, cioè dell'insieme dei neuroni contenenti dopamina.
Tale neurotrasmettitore, inoltre, sembra costituire il messaggero nervoso più importante tra quelli in gioco nei processi emozionali del piacere e della ricompensa, quegli stati psicologici evocati dai comportamenti gratificanti che realizzano finalità adattative come il mangiare, il bere, il riprodursi, l'avere successo nella lotta e nella competizione, lo sfuggire un pericolo, ecc. Numerose ricerche neurobiologiche hanno provato che in tali occasioni si registra una marcata attivazione dei sistemi neuronali dopaminergici. La trasmissione dopaminergica così rappresenta uno dei correlati fisiologici del rinforzo psicologico, il processo che spinge a ripetere i comportamenti risultati utili o comunque piacevoli, ovvero il fenomeno determinante nei processi di apprendimento.
Una scarsa attività del sistema dopaminergico sembra essere un correlato fisiologico della depressione, mentre, al contrario, una iperattività di tale sistema pare connessa alle sindrome maniacali e schizofreniche. Ciò sembra dimostrato anche dalla validità terapeutica dei presidi farmaceutici usati in questi tipi di disordini psichiatrici. Una classe di antidepressivi piuttosto usati (gli IMAO), infatti, agisce aumentando la disponibilità sinaptica della dopamina, attraverso l'inibizione dell'azione degli enzimi che distruggono tale neuromediatore dopo la trasmissione nervosa. Gli antipsicotici, al contrario, limitano la trasmissione dopaminergica, bloccando i recettori per la dopamina.

Noradrenalina
Anche la noradrenalina è un importante mediatore nervoso del cervello emozionale. Essa è coinvolta però soprattutto nella regolazione dei comportamenti d'emergenza e nella risposta allo stress. A livello del sistema nervoso centrale produce attivazione cerebrale, aumentando l'attenzione e la vigilanza, mentre a livello periferico, attravreso le fibre del sistema nervoso simpatico, media gli aggiustamenti funzionali ai comportamenti di lotta e fuga, come l'aumento del battito cardiaco, della pressione arteriosa, della mobilizzazione degli zuccheri, della dilatazione dei bronchi, induzione del rilascio di adrenalina, ecc. La noradrenalina è implicata nei processi del rinforzo psicologico ed interviene quindi nelle funzioni cognitive.
La noradrenalina, infine, è il trasmettitore nervoso principale del nucleo del locus coeruleus, un centro nervoso profondo che integra le informazioni sensoriali in arrivo dalla periferia, per distribuirle poi ai centri superiori del cervello e alla neocorteccia. Tale nucleo sembra interessato all'azione delle droghe allucinogene.

Serotonina
Il ruolo della serotonina come mediatore nervoso è stato scoperto nel 1957 da Brodie e Shore, dopo che Vittorio Erspamer aveva determinato la sua presenza in alcune cellule nervose. La stazione principale delle vie serotoninergiche è rappresentata dal nucleo del rafe, un centro nervoso situato in profondità nel cervello. La serotonina sembra implicata nella regolazione del sonno e del sogno, nel controllo della temperatura corporea e nella coordinazione delle attività intestinali. La serotonina possiede una struttura chimica affine a quella dell'LSD, tanto che alcuni neuroscienziati hanno ipotizzato un coinvolgimento di questo neurotrasmettitore negli stati alterati di coscienza indotti dalle sostanze psichedeliche e nella sintomatologia allucinatoria propria della schizofrenia.

Endorfine
Come gli altri neuropeptidi, le endorfine sono caratterizzate un largo spettro d'azione e presiedono alla modulazione e al controllo di numerosi programmi integrati fisiologici e comportamentali.
Tenendo presente che esse possiedono generalmente un'azione inibitoria sui neuroni con cui stabiliscono un legame a livello recettoriale, si possono caratterizzare le funzioni delle endorfine descrivendo la mappa della loro localizzazione nel cervello. La maggior concentrazione di recettori per le endorfine si riscontra:
1) nella sostanza gelatinosa del midollo spinale, parte in cui le fibre nervose sensitive che conducono gli stimoli dolorifici dalle varie parti del corpo stabiliscono i loro primi contatti a livello encefalico;
2) nella sostanza grigia periacquedottale, una struttura del mesencefalo che ha la funzione di integrare gli stimoli dolorifici in arrivo al cervello;
3) nella regione mediana del talamo, la porzione anatomica specializzata nell'elaborazione e nella trasmissione verso le altre parti del cervello degli stimoli sensoriali associati a dolori intensi e profondi;
4) nel nucleo del tratto solitario, una parte del tronco cerebrale che presiede al controllo della respirazione e del riflesso della tosse;
5) nel locus coeruleus, un centro nervoso del tronco cerebrale che rappresenta la stazione di origine delle fibre nervose contenenti noradrenalina;
6) in tutte le strutture del sistema limbico e del cervello emozionale, l'organizzazione funzionale responsabile della risposta fisiologica, comportamentale e del vissuto psichico delle emozioni.
Le endorfine e i neurotrasmettitori del secondo tipo sono i mediatori chimici del cervello più interessati all'azione delle droghe e alle alterazioni biochimiche che si instaurano nel cervello dei soggetti tossicodipendenti. Ciò anche perché tali neurotrasmettitori sono alla base delle funzioni di una complessa e importante struttura di vie e centri nervosi, il cosiddetto sistema di ricompensa cerebrale.

le cellule nervose

Il neurone è l'unità di base del sistema nervoso, una cellula altamente differenziata e specializzata per la raccolta, l'integrazione e la conduzione di impulsi nervosi.
Il termine neurone è stato introdotto nel 1891 dall'anatomista tedesco Wilhelm von Waldeyer, cui piaceva riferirsi a tale cellula come alla «macchina del pensiero».
Le cellule nervose, tuttavia, erano già state identificate nel 1873 da Camillo Golgi, grazie ad una nuova tecnica di colorazione dei tessuti nervosi da osservare al microscopio. Golgi però pensava che le cellule nervose si prolungassero l'una nell'altra senza interruzioni fisiche, formando una sorta di rete continua di fibre. Fu lo spagnolo Santiago Ramon y Cajal ad accertare che ogni neurone rappresenta un'unità anatomica e funzionale distinta.
Dal corpo cellulare del neurone si diramano due tipi differenti di fibre nervose, un assone e numerosi dendriti. L'assone è preposto alla conduzione dei messaggi che da un neurone vengono inviati ad altre cellule. I dendriti, al contrario, trasmettono al corpo cellulare del neurone i segnali nervosi provenienti dalle altre cellule con cui è posto in contatto (vedi figura illustrazione schematica del neurone).
Un cervello umano contiene oltre 100 miliardi di cellule nervose ed ognuna di esse si contatta mediamente con 50 o 100.000 altri neuroni. Il numero totale dei contatti nervosi che si stabiliscono in un cervello umano supera quello stimato di tutti i corpi celesti presenti nell'universo. Una cifra veramente astronomica che può spiegare la complessità delle funzioni di questo organo nella nostra specie.

La sinapsi
Il termine sinapsi è stato introdotto nel 1879 dal fisiologo inglese Charles Scott Sherrington e deriva dal greco synapsis, che significa giunzione, unione. La sinapsi è la giunzione tra due neuroni specializzata nella trasmissione dell'impulso nervoso.
La giunzione sinaptica è di tipo solamente funzionale in quanto in realtà tra due neuroni si frappone uno spazio microscopico: la fessura sinaptica. In questo spazio, attraverso l'intervento di sostanze chimiche endogene sintetizzate nei corpi cellulari dei neuroni, chiamate neurotrasmettitori, si realizza la comunicazione tra cellule nervose.
I due versanti neuronali della sinapsi si differenziano per struttura e meccanismi funzionali. La terminazione dell'assone che conduce l'impulso nervoso verso la fessura sinaptica rilascia il neurotrasmettitore incorporato in speciali vescicole, traducendo l'impulso elettrico in segnale chimico. La terminazione del dendrite che riceve il segnale nervoso, invece, presenta sulla sua membrana apparati specializzati, i recettori, la cui struttura molecolare è conformata ad accogliere, come una serratura per una specifica chiave, soltanto un tipo di neurotrasmettitore. Nella terminazione del dendrite, quindi, il messaggio chimico viene riconvertito in un impulso elettrico che riprende a viaggiare come tale nelle fibre nervose.
Un neurone può arrivare a stringere anche 100.000 contatti sinaptici con altre cellule nervose. Decine di migliaia di messaggi eccitatori ed inibitori giungono così ad ogni istante al neurone attraverso le sue sinapsi. Come un microcalcolatore, il neurone analizza ed integra questi segnali e, con un processo di somma algebrica, decide se emettere o meno, a sua volta, un segnale nervoso attraverso il suo assone.
A livello della sinapsi si verificano inoltre i primi eventi molecolari legati all'apprendimento e alla memoria. I processi svolti in queste microstrutture sono così la base funzionale di tutte le funzioni svolte dal nostro sistema nervoso e dal nostro cervello, comprese quelle che regolano e controllano la nostra vita emotiva e i nostri pensieri.

il cervello

Il cervello è l'organo preposto al controllo e alla coordinazione di tutte le funzioni organiche. Esso elabora le informazioni provenienti dai sensi e le integra con quelle provenienti dai diversi tessuti dell'organismo, per produrre la risposta comportamentale più funzionale agli stati di necessità del corpo e alla situazione ambientale. In questo senso, il cervello è l'organo primario dell'adattamento.
Nel corso dell'evoluzione degli organismi viventi, il cervello si è via via complicato con apparati di analisi ed integrazione delle informazioni sempre più sofisticati, che hanno permesso alla risposta adattativa di non realizzarsi più, come avveniva e come avviene negli organismi inferiori, in via esclusivamente riflessa ed automatica, ma in modo intelligente ed aperto all'esperienza.
Il nostro cervello rappresenta il prodotto della stratificazione dei tre tipi di cervello apparsi nel corso della trasformazione evolutiva dei Vertebrati.
Il cervello più antico, specializzato nel controllo delle funzioni automatiche, come la vigilanza, la respirazione e la circolazione, comprende le parti del midollo che si allungano nel cervello e che terminano nel tronco cerebrale.
I centri che si sono sovrapposti a queste strutture, come il talamo, l'amigdala e i nuclei del putamen, fanno parte del cosiddetto cervello emozionale. Dalle loro funzioni dipende il comportamento emotivo e motivazionale ed i meccanismi del rinforzo psicologico (soprattutto quelli connessi al piacere e al dolore) che sono alla base dei processi di apprendimento.
La corteccia cerebrale rappresenta la parte evolutivamente più recente del cervello umano. Essa rappresenta lo strato corrugato di cellule nervose che racchiude i centri del cervello più antichi. La corteccia cerebrale integra e coordina le funzioni di tutte le altre strutture nervose ed è la sede delle funzioni psichiche superiori, come l'intelligenza razionale e il linguaggio.

storia delle droghe

DEFINIZIONE DI DROGA

Con il termine droga si indica ogni sostanza capace di alterare, gli equilibri dei diversi, ma interconnessi, livelli su cui può rappresentarsi il nostro essere: il livello biologico, quello psicologico e quello sociale. Gli equilibri del primo livello sono quelli della fisiologia. Le droghe interferiscono con i processi biochimici finalizzati al mantenimento delle condizioni normali dell'organismo e soprattutto agiscono sui meccanismi delle funzioni cerebrali, interferendo sugli eventi biologici che sono alla base delle normali attività delle cellule nervose: la trasmissione e l'elaborazione di impulsi nervosi, cioè a dire di segnali ed informazioni.
Gli equilibri del livello psicologico costituiscono la rappresentazione mentale e comportamentale dei meccanismi cerebrali di cui abbiamo appena parlato. Perturbando le funzioni delle cellule nervose, le droghe compromettono o addirittura annullano gli equilibri psicologici e quindi la capacità di adattamento dell'individuo e le possibilità che esso ha di far fronte a situazioni di disagio intrapsichico, ambientale o interpersonale.
Le droghe condizionano le possibilità d'inserimento sociale dell'individuo, minando da un lato le sue capacità adattative e dall'altro determinando una reazione di emarginazione da parte del tessuto sociale. Gli equilibri del livello sociale sono legati alle condizioni dei due livelli precedenti, ma, a sua volta, il livello sociale influenza e vincola la dimensione psicologica e quella biologica.
Il significato dei comportamenti, delle abitudini, degli stili di vita che un individuo ricava dalla cultura e dall'insieme dei valori della società è infatti uno dei fattori che più condizionano l'esito del riaggiustamento psicologico e quindi biologico conseguente all'uso delle droghe. Il valore storico-culturale di normalità e di devianza, infine, è l'elemento che più contribuisce a determinare l'atteggiamento della società nei confronti di chi fa uso di droghe e quindi, conseguentemente, le possibilità che ha quest'ultimo di adattarsi con i minori danni possibili alla sua nuova condizione.

CLASSIFICAZIONE DELLE DROGHE

In base agli effetti positivi ricercati da chi ne fa uso, le droghe possono essere classificate in sei gruppi:
a) stupefacenti: oppio e derivati (morfina, eroina, codeina);
b) stimolanti: cocaina, amfetamine, tabacco, caffè, tè e, se assunti in dosi piccole, i derivati di sintesi come le metossiamfetamine (DOM, conosciuta comunemente come STP - serenità, tranquillità, pace -, DMA, conosciuta come pillola dell'amore e MDMA, meglio nota come ecstasy);
c) sedativi o ipnotici: benzodiazepine, barbiturici;
d) inebrianti: alcool, etere, solventi, colle e, fino alla fine dell'Ottocento, il cloroformio e l'assenzio;
e) Allucinogeni: LSD, hashish e marijuana, mescalina, psilocibina, psilocina e se assunte in dosi appropriate le metossiamfetamine indicate sopra tra gli stimolanti.

INTRODUZIONE

Si ritiene comunemente che l'uso e l'abuso delle droghe siano problemi tipici della società contemporanea e che le droghe vengano usate nel tentativo di risolvere o di eludere le difficoltà. Questa convizione trova conforto nella attuale diffusione delle sostanze che modificano il funzionamento del sistema nervoso e modulano o controllano gli stati del cervello e della mente: psicofarmaci e droghe.
Le indagini storiche, etnologiche e geografiche, hanno tuttavia dimostrato che la ricerca della manipolazione della coscienza, dell'alterazione degli stati della mente e del controllo del comportamento sono costanti della storia dell'umanità. Lo psicotropismo infatti si presenta, con metodologie e percorsi diversi, in tutte le epoche ed a tutte le latitudini geografiche e sociali.
Attraverso le droghe l'uomo ha sempre cercato di curare il male, di fuggire gli affanni, le preoccupazioni, la tristezza, di rompere i vincoli della quotidianità, di acquisire una percezione mistica e giungere all'esperienza del sacro.
Ma quali sono le ragioni di un fenomeno così vasto e radicato nella storia dell'umanità? Perché l'uomo ricerca con tanto accanimento di agire sugli stati di coscienza e di modificare artificialmente i processi mentali, nonostante tutti i rischi e i danni che ciò comporta? La paradossalità dello psicotropismo forse si risolve se si tiene presente il fatto che l'uomo è un animale intelligente e dotato di coscienza. Vivendo l'esperienza della propria coscienza, l'uomo sembra portato a controllare gli stati mentali che percepisce, a riprodurre in maniera artefatta tonalità emotive piacevoli, a fugare - con ogni strumento valido al fine - le afflizioni e il dolore. In quanto essere intelligente, l'uomo intende controllare la sua coscienza con strumenti artificiali, le droghe, così come controlla con utensili da lui messi a punto i fenomeni naturali e le cose che maggiormente lo coinvolgono.


1. L' OPPIO E I SUOI DERIVATI

1.1 COS' E' L OPPIO
L'oppio è il succo lattiginoso, condensato all'aria, estratto per incisione dalle capsule non mature del Papaver somniferum album (papavero sonnifero). Il suo nome deriva dal termine greco opos: succo. L'oppio grezzo è la sostanza base di tutti gli stupefacenti contiene: infatti circa 20 tipi di alcaloidi, composti organici azotati dotati di elevata azione farmacologica a livello del sistema nervoso. Tra questi alcaloidi sono presenti alcune sostanze di diffuso uso clinico nella terapia del dolore e della tosse, come la codeina, la papaverina, la narcotina. L'alcaloide principale dell'oppio è invece la morfina. Per le sue elevate proprietà analgesiche, essa è stata anche soprannominata la "medicina di Dio" e rappresenta tuttora il farmaco più usato nella terapia contro il dolore. La morfina è stata anche la prima droga iniettabile e costituisce la base da cui si sintetizza uno degli stupefacenti più tossici e pericolosi: l'eroina.


1.2 STORIA DEL OPPIO

L'uso dell'oppio è attestato sin nei primi testi scritti prodotti dall'uomo. Hul gil, l'ideogramma con cui i Sumeri indicavano, già nel 4000 a.C., il papavero da oppio, stava per pianta della gioia, dimostrando così come le antiche popolazioni della Mesopotamia conoscevano bene le proprietà euforizzanti del succo di tale pianta.
L'oppio veniva usato dagli Egizi come calmante per i bambini ed era l'ingrediente principale del pharmakon nepenthes che Elena versa nel vino durante il banchetto con Telemaco alla corte di Menelao, raccontato da Omero nell'Odissea (IV, 219-228).
Nella mitologia greca e romana l'oppio era una presenza ricorrente. Un mito raccontava come Demetra, la dea della terra feconda, sorella di Zeus, usasse il papavero per alleviare il dolore provocatole dal rapimento della figlia Persefone. Per questa ragione, esso veniva usato nel culto ufficiale di tale divinità e il papavero veniva collocato immancabilmente tra le spighe di grano che Demetra tiene in mano nelle raffigurazioni, veniva usato nelle decorazioni dei suoi altari e costituiva l'insegna delle sue sacerdotesse. Il papavero è spesso presente nelle mani di Morfeo, dio del sonno, mentre Nyx, dea della notte, dispensava papaveri agli uomini. In talune rappresentazioni, anche Hermes si fa avanti con un papavero, quando arriva a recare il sonno ristoratore e la fantasia dei sogni.
L'oppio era presente in moltissimi tipi di pozione (teriaca) messi a punto dai medici greci e romani. La teriaca più famosa ed usata era il galenos (soave) elaborata dal cretese Andromaco il Vecchio, medico alla corte di Nerone.
Il galenos era raccomandato come una infallibile panacea. Il più grande medico dell'antichità romana, Galeno, prescriveva tale pozione diluita in alcool, per una serie incredibile di disturbi, tra cui sintomi di avvelenamento, cefalee, sordità, problemi di vista, epilessia, febbre, sordità e lebbra. Con questa pozione, stemperata in abbondanti dosi di miele, Galeno curò il più eminente dei suoi pazienti, l'imperatore Marco Aurelio, sino a farlo divenire dipendente dall'oppio, come testimoniano i resoconti clinici compilati dal medico.
L'oppio era un principio curativo fondamentale della farmacopea araba e da questa passò quindi nella medicina europea. Il famoso alchimista Paracelso, metteva a punto un preparato a base d'oppio destinato ad avere una straordinaria diffusione: il laudano.
A partire dal '500 l'oppio diveniva d'uso comune nel nostro continente, come testimonia il fatto che tale sostanza si trasformava in una sorta di topos dell'immaginario occidentale, tanto che in letteratura il riferimento a tale sostanza costituiva una sorta di pretesto narrativo, una chiave simbolica, per l'analisi e la descrizione delle lotte umane contro le tristezze e le sofferenze, contro i ricordi angosciosi, ma anche un elemento fondamentale nell'invenzione e nello sviluppo del racconto di intrighi e illecite macchinazioni.
Nonostante la crescente diffusione dell'oppio, tuttavia, l'uso di tale droga non assunse mai livelli epidemici. Esistevano consumatori occasionali e sporadici, individui farmaco-dipendenti, ma socialmente accettati e capaci di mantenere una vita di relazione nei canoni della normalità ed infine gruppi significativamente piccoli di tossicomani completamente dipendenti ed asserviti alla droga, ma che non rappresentavano un reale pericolo sociale, data la loro scarsa consistenza numerica.

L'era industriale e la sintesi in forma pura dei principi psicoattivi
Questa condizione doveva mutare con l'avviarsi della Rivoluzione industriale, quando l'oppio, ormai prodotto in larga scala, diveniva una merce acquistabile a basso prezzo. In Inghilterra, ad esempio, l'oppio veniva venduto a prezzi dalle cinque alle dieci volte più bassi di quelli della birra e dell'alcool. Gli inglesi disponevano delle enormi piantagioni d'oppio dell'India, la cui produzione, data la quantità e dato il basso costo della manodopera, poteva essere commercializzata a prezzi estremamente concorrenziali. La grande disponibilità d'oppio a basso prezzo determinava, soprattutto nella classe operaia, l'instaurarsi di un'epidemia d'abuso ancora più grave di quella dell'alcoolismo.
Gli interessi commerciali e l'avvio della produzione di farmaci a livello industriale favorirono allo stesso tempo un'impressionante proliferazione di rimedi a base d'oppio, largamente pubblicizzati e distribuiti capillarmente. Sciroppi, cordiali e polveri, dai nomi familiari ed accattivanti (lo sciroppo dolce della signora Winslow, L'elisir all'oppio di McMunn, il Cordiale Godfrey, Lo Cherry di Ayer e così via) e dalle confezioni appariscenti venivano reclamizzati su giornali e riviste, venduti per posta o direttamente dai medici, mentre nelle farmacie i preparati a base d'oppio rappresentavano il prodotto più acquistato.
Questa convergenza di interessi determinava quindi una rapida estensione del consumo dell'oppio e dei suoi derivati anche ai ceti sociali privilegiati. Negli Stati Uniti l'oppio diventava una sostanza d'abuso tipica della borghesia e soprattutto del sesso femminile. Stime ufficiali dell'Amministrazione Sanitaria della confederazione americana indicavano un rapporto variabile da uno a venti a uno a cento tra individui dipendenti da oppioidi e popolazione totale, laddove oggi tale rapporto negli Stati Uniti va da uno a duecento a uno a cinquecento.
L'abitudine di fare uso dell'oppio si diffuse anche tra gli intellettuali e tra i letterati, soprattutto inglesi, George Byron, Percy Shelley, Walter Scott, John Keats, Wilkie Collins e Charles Dickens facevano ricorso, saltuario o sistematico, al laudano per curare i mal di capo, l'insonnia, l'ansia. I casi più famosi però sono quelli di Samuel Coleridge e soprattutto di Thomas De Quincey. Quest'ultimo ci ha lasciato un mirabile racconto autobiografico della sua esperienza di tossicomane, Le confessioni di un mangiatore d'oppio. Anche la cultura francese produsse originali posizioni sul problema dell'oppiomania, come quelle illustrate da Honorè de Balzac nel racconto Massimilla Doni e quelle discusse da Charles Baudelaire nei famosi saggi raccolti ne I paradisi artificiali.
L'oppiomania della Rivoluzione industriale è un esempio eloquente di come sia l'offerta delle droghe a creare la domanda, e non viceversa. La facile disponibilità di tale droga, sia in termini di diffusione al minuto che in termini di prezzo, contribuì in maniera determinante all'origine dell'epidemia dell'abuso del secolo scorso. La grande diffusione dell'uso dell'oppio nella società di quel periodo, infine, rendeva il dominio della normalità sociale molto diverse da quello che vige nella cultura attuale. La gente considerava l'uso dell'oppio e l'oppiomania come comportamenti non devianti e i governi continuavano a sancire la loro piena legittimità.
La grave epidemia d'abuso dell'oppio dell'Ottocento trasformava la produzione e il commercio di tale sostanza in un colossale affare. Ciò è testimoniato eloquentemente dal fatto che proprio in quegli anni l'Inghilterra si decideva a scatenare una guerra contro la Cina per costringerla a ripristinare la legalità dell'oppio revocata nel lontano 1729 dall'imperatore Yung Chiang.
L'espandersi dell'uso dell'oppio incitò a nuovi studi sulla sostanza. Nel 1804, Armand Séquin isolava per la prima volta il costituente fondamentale di tale droga, chiamandolo morfina, in onore a Morfeo, dio greco del sonno e dei sogni. Un anno più tardi Wilhelm Setürner, un giovane speziale tedesco di soli vent'anni, metteva a punto un efficace ed economico metodo di isolamento e produzione della morfina.
Nel 1853, Alexander Wood inventava la siringa ipodermica, rendendo così possibile l'assunzione di droghe in forma pura direttamente nel circolo sanguigno. Si determinava così una svolta radicale nel rapporto tra l'uomo e le droghe, in quanto l'iniezione endovena aumenta in modo drammatico l'azione delle droghe sul cervello.
Il successo dell'accoppiata morfina-siringa diveniva ben presto tale che su di essa cominciava a svilupparsi una terapeutica dalla casistica praticamente sterminata. La morfina non era soltanto un rimedio alle patologie organiche, ma diventava anche un farmaco per le malattie sociali. L'alcaloide dell'oppio doveva servire, secondo teorie mediche accreditate nella seconda metà dell'Ottocento, a sconfiggere la piaga dell'alcolismo e a risolvere così tutti i problemi sociali conseguenti a tale abuso.
Non si doveva attendere molto per assistere alle prime tragiche dimostrazioni della pericolosità dell'uso irrazionale della morfina iniettabile. Durante la guerra di secessione americana (1861-1865) e con il conflitto franco-prussiano (1870-1871) decine di migliaia di militari divennero assuefatti alla morfina, tanto che la dipendenza a questa droga venne significativamente chiamata "malattia del soldato". Gli ufficiali medici avevano purtroppo imparato a somministrare la morfina non soltanto come anestetico per le operazioni sui soldati feriti, ma anche per dare sollievo ai più piccoli malanni fisici e al disagio psicologico provocato dalla tensioni delle battaglie.
La guerra franco-prussiana diffondeva la pratica della morfina anche tra lo stato maggiore dell'esercito tedesco e quindi tra le classi più agiate del Secondo Reich, sino al cuore dell'intellighènzia. Il musicista ufficiale del regime, Richard Wagner, e l'artefice dell'unificazione nazionale, paladino del militarismo prussiano e cancelliere del Reich, Otto von Bismarck, erano consumatori abituali di morfina.
La moda della morfina si radicava anche in Francia, soprattutto tra i ceti medio alti. Il derivato dell'oppio faceva adepti tra gli intellettuali, scienziati, uomini di stato. Il generale Georges Boulanger, ministro della guerra nella terza Repubblica francese e capo del movimento nazionalista e autoritario del boulangismo, era stato visto varie volte iniettarsi morfina in pubblico. Guy de Maupassant usava la morfina a scopo voluttuario e per stimolare la creatività. Negli ultimi anni della sua vita, il grande neuropatologo e maestro di Sigmund Freud, Jean-Martin Charcot, si iniettava una dose di morfina al giorno per trovare sollievo da una lombaggine cronica. Jules Verne ricorreva alla morfina per ridurre il dolore che gli provocava una pallottola conficcata nel piede che non poteva estrarre a causa del diabete che lo affliggeva.
Tra fine Ottocento e inizio Novecento, la morfina assurgeva a simbolo caratterizzante la cerchia elitaria di esteti e raffinati decadenti e per estensione degli intellettuali in genere. Si fabbricavano siringhe d'oro, astucci d'argento ornati da emblemi, incisioni, stemmi e iniziali di famiglia, contenenti il necessaire per la somministrazione della droga: una siringa d'oro ed un grazioso flacone di vetro intarsiato. I morfinomani della buona società si regalavano l'un l'altro questi preziosi strumenti scegliendoli con grande cura ed attenzione. Non era difficile incontrare nei caffé, al teatro, negli angoli dei salotti alla moda, dame e signori del bel mondo che si iniettavano con fare disinvolto la morfina in una coscia, anche attraverso gli indumenti.
Così, la «medicina di Dio» si era rivelata essere anche un potenziale veleno, il germe portatore di una delle più gravi epimedie della storia moderna, la causa scatenante di una piaga sociale apparentemente insanabile. Occorreva pertanto trovare un farmaco parimenti efficace contro il dolore, che non provocasse però la dipendenza. Questa ricerca rappresentava un nuovo colossale affare commerciale e le maggiori industrie chimico-farmaceutiche dell'epoca investirono su di essa ingenti quantità di denaro.
Nel 1898, la Bayer annunciava al mondo di essere finalmente pronta a commercializzare questo farmaco miracoloso. Il lancio del nuovo prodotto veniva preparato con una massiccia e capillare campagna pubblicitaria. Foglietti illustrativi, depliant e campioni gratuiti della sostanza vennero inviati praticamente a tutti i medici e a tutte le farmacie dei paesi industrializzati. «Contro tutti i dolori, sedativa della tosse, per la cura dei tossicomani», così recitava il foglietto inviato con il campione. Era la diacetilmorfina, il cui nome commerciale, Eroina, derivava dalla parola tedesca heroisch, energico, eroico, che più caratterizzava, secondo la Bayer, questo farmaco potente e apparentemente privo di controindicazioni.


2. SOSTANZE STIMOLANTI

2.1 COCA E COCAINA
I metodi di datazione applicati su reperti archeologici scoperti nelle Ande centrali, testimoniano come l'uomo abbia cominciato a masticare le foglie di coca, da cui si estrae la cocaina, in epoche precedenti al 2500 a.C.
La pianta della coca ha avuto un'importanza enorme per tutte le civiltà andine. Ciò è testimoniato dal fatto che essa era protagonista principale di tutti i moltissimi miti d'origine con i quali si raccontavano le vicende leggendarie della fondazione delle varie civiltà andine. La coca costituiva inoltre la pianta per eccellenza, la classe paradigmatica dell'intero regno vegetale, come attestavano i significati stessi della parola. Nel linguaggio della civiltà Tiahuanaca, ad esempio, la parola coca significava semplicemente pianta o albero.
La coca aveva un posto particolare nell'olimpo Incaico. Essa era il dono che il dio Sole aveva fatto a suo figlio, Manco CCapac, mitico fondatore dell'impero Inca, per alleviare le sofferenze umane ed infondere vigore alla nuova civiltà.
Dato il carattere sacrale della coca, la consuetudine e le leggi incaiche ne limitavano l'uso all'aristocrazia imperiale e alla potente casta sacerdotale. Sino all'arrivo degli spagnoli, pertanto, la popolazione poteva consumare la coca soltanto in occasione di particolari riti religiosi e per scopi terapeutici. Nel 1532, con la caduta dell'impero Incaico per mano degli eserciti spagnoli guidati da Francisco Pizarro, la situazione doveva mutare radicalmente. Con l'uccisione dell'ultimo imperatore incaico, Atahualpa, gli indios dell'impero cominciavano a fare libero uso della coca, tanto che sin dai primi resoconti che gli storici e i cronisti spagnoli pubblicavano sulla nuova provincia è costante il riferimento all'estrema diffusione del consumo di coca e al fatto che gli indigeni considerassero la coca una ricchezza inestimabile, tanto da preferirla all'oro.
Gli spagnoli usarono dunque la coca come compenso per il massacrante lavoro nelle miniere e nelle piantagioni degli Incas schiavizzati. Le complicanze sull'organismo prodotte dall'abuso generalizzato di coca amplificarono la mortale azione delle armi e dei virus europei per i quali gli indigeni non avevano alcuna resistenza immunitaria, accelerando il già rapido processo di eliminazione degli indios da parte degli spagnoli.

Coca e bevande toniche
I primi seri studi di tossicologia e sull'uso della coca in clinica iniziavano tuttavia soltanto nella seconda metà dell'Ottocento, con la pubblicazione di un importante opera di Paolo Mantegazza, un eclettico professore di patologia generale ed antropologia italiano, intitolata Sulle virtù igieniche e medicinali della coca e degli alimenti nervosi in genere. Il Saggio conobbe un successo straordinario in tutta Europa e divenne il maggiore veicolo di promozione del potente stimolante nella società occidentale. Ispirandosi all'opera di Mantegazza,un chimico farmacista corso, Angelo Mariani, ideava nel 1863 una bevanda preparata con coca sciolta in vino: il Vin Mariani. Questa bibita tonificante veniva usata anche in medicina, perché si pensava capace di sollevare il morale ai depressi e di curare praticamente ogni tipo di disturbo fisico, dal mal di gola alle affezioni nervose, dall'impotenza all'insonnia, dall'anemia alle febbri, finanche ai morbi di tipo contagioso. La bevanda acquistava immediatamente una popolarità clamorosa, annoverando tra i suoi acquirenti personalità famose del mondo dell'arte e della cultura, come Emile Zola, August Rodin, Charles Gounod, Alexandre Dumas figlio, Paul Verlaine, Jules Verne, Heinrik Ibsen, Thomas Alva Edison, della politica, come Ulysses Grant, presidente degli Stati Uniti, come lo zar di Russia e il Principe di Galles. Mariani era ritenuto un benefattore dell'umanità, tanto che papa Leone XIII regalava al chimico corso una medaglia d'oro in segno di riconoscenza.
Il successo mondiale del Vin Mariani spingeva l'artigianato e l'industria chimico-farmaceutica a mettere a punto un preparato capace di trarre profitto dal ricchissimo mercato creato dal tonico francese. Fu un farmacista americano di Atlanta, John Styh Pemberton, a commercializzare nel 1885 la prima bevanda in concorrenza con il Vin Mariani, il French Wine Coca. L'anno successivo Pemberton modificava il suo preparato eliminando l'alcool e aggiungendo estratto di noce Kola - una sostanza ricca di caffeina -, oli di agrumi e dolcificanti. Il nuovo analcolico (soft drink) era destinato, secondo la pubblicità che ne accompagnò l'immissione sul mercato, «agli intellettuali e agli alcolisti in astinenza»: il suo nome commerciale era Coca Cola. Sino al 1903, anno in cui il governo federale statunitense imponeva la decocainizzazione delle foglie di coca usate per la preparazione, la cocaina fu un ingrediente della Coca Cola.

Dalla coca alla cocaina
Nella storia dell'uso delle foglie di coca non si trovano, eccetto che per il consumo coatto imposto agli indios dai conquistadores, testimonianze di abuso e di problemi di una certa rilevanza sociale (nella sanità e nell'ordine pubblico) connessi all'utilizzo della pianta peruviana. Tali problemi invece apparivano drammaticamente a partire dal 1860, quando Albert Nieman, un chimico di Göttingen, riusciva ad isolare l'alcaloide principale delle foglie di coca, la cocaina. La disponibilità della cocaina in forma pura facilitava anche le ricerche medico-scientifiche e l'impiego in clinica, soprattutto nel settore delle malattie mentali. Fiorirono così una serie di bizzarre proposte per l'utilizzo "razionale" del potente stimolante. In Francia, alla fine degli anni settanta, si consigliava la somministrazione della cocaina agli operai per l'aumento della produzione nelle fabbriche. Negli Stati Uniti si usava curare l'esaurimento nervoso e persino la timidezza con dosi di cocaina. Nel 1878, il dottor Bentley suggeriva di utilizzare la cocaina per la disintossicazione dei morfinomani. La pratica del dottor Bentley trovava purtroppo vasta applicazione, soprattutto negli Stati Uniti, dove peraltro veniva estesa al recupero degli alcolisti, producendo infallibilmente nei pazienti la conversione della dipendenza dagli oppioidi (e dall'alcool) al farmaco stimolante. Agli inizi degli anni '80, in Germania furono condotti studi sulle proprietà stimolanti ed anoressizzanti della cocaina somministrandola di nascosto ai soldati. Lo Stato Maggiore Tedesco sperava di trovare una sostanza in grado di migliorare il morale, l'efficienza e la resistenza delle truppe alla fatica e alla fame, in modo facile, sicuro e relativamente economico.
Tali pericolose teorie erano ben conosciute e condivise da Sigmund Freud e lo spingevano a sperimentare, entusiasmandosene, gli effetti della cocaina su se stesso. Nel suo famoso saggio Sulla cocaina, pubblicato nel 1884, il padre della psicanalisi raccontava come dal 1864 avesse cominicato a fare uso di cocaina per combattere i suoi ricorrenti stati depressivi. L'ingenua fiducia nel nuovo farmaco era tale da indurlo a regalare la cocaina alla sua fidanzata, Marthe Bernays e a consigliare il suo uso come farmaco disintossicante a un caro amico, il patologo Ernst Fleischl, divenuto morfinomane in seguito ad una lunga terapia del dolore.
Dopo aver trovato iniziale giovamento, Fleischl sviluppò una fortissima dipendenza alla cocaina, sino ad aver bisogno di dosi eccezionali, cento volte superiori a quelle usate nei normali trattamenti, un grammo al giorno che si autosomministrava per iniezione sottocutanea. Fleischl cominciava quindi ad avere spaventosi episodi paranoidei: allucinazioni e deliri che aveva sperimentato talvolta anche Freud, nei quali terrorizzato ed impotente doveva lottare contro i morsi e le aggressioni di miriadi di insetti sopra e sotto la pelle. I racconti delle angoscianti allucinazioni sensoriali di Fleischl costituiscono il primo resoconto di un sintomo classico del cocainismo, la zoopsia, eufemisticamente indicata come "sintomo delle bestioline". I deliri di Fleischl divennero sempre più frequenti, sino a renderlo vittima di una delle prime forme documentate di psicosi cocainica.
La triste esperienza di Fleischl accomunava presto folte schiere di ex-morfinomani e nuovi drogati, facendo finalmente spegnere l'acritico entusiasmo della comunità medica.
L'epidemia dell'abuso si diffuse quindi tra gli intellettuali, dato che la cocaina veniva ritenuta una sostanza capace di amplificare le capacità critiche e creative. Scritto in tre giorni e tre notti da un autore dedito all'uso dei più diversi farmaci, Robert L. Stevenson, Lo strano caso del dottor Jeckyll e Mr Hyde, è forse l'opera letteraria più famosa scritta sotto l'effetto di cocaina. Il famosissimo Sherlock Holmes, immaginario detective dei gialli di Conan Doyle, al quale il suo ideatore faceva consumare notevoli quantità di cocaina, diede un indiscutibile contributo alla propaganda di questa droga.
Tra fine Ottocento e inizio Novecento, la moda della cocaina guadagnava consensi sempre più vasti anche al di fuori delle elite intellettuali, soprattutto negli Stati Uniti. Nelle grandi metropoli europee e americane si inauguravano ritrovi per il consumo di cocaina. La cocaina, come la morfina, si consumava poi durante le feste private e nel buio delle platee dei teatri. La cocaina conquistava nuovi adepti anche nelle classi lavoratrici. I conduttori di mezzi di trasporto pubblico o le guardie notturne lo usavano per sopportare il sonno durante i turni di notte. Per le stesse ragioni, la cocaina diveniva sostanza d'abuso nel variegato mondo del popolo della notte. La assumevano scassinatori, prostitute, giocatori d'azzardo, frequentatori di locali più o meno alla moda. Negli stati meridionali dell'unione americana la cocaina costituiva una parte del compenso elargito ai negri raccoglitori di cotone. In Europa l'abuso di cocaina trova in Francia la sua patria adottiva. Nel 1924 nella sola Parigi si contavano almeno 80.000 cocainomani. Nel 1914, un'indagine epidemiologica pubblicata sul Journal de Médicine française rivelava che almeno metà delle prostitute di Monmarte era dipendente dalla cocaina. Molti tra i dadaisti e i surrealisti francesi erano dediti a tale droga. La cocaina servì purtoppo a qualcuno di loro per darsi la morte.
La cocaina dunque era divenuta un grande affare commerciale e, attirando conseguentemente gli interessi della malavita, si era trasformata in una grave minaccia per l'ordine pubblico. A partire dagli inizi del Novecento, le autorità dei vari stati americani cominciarono a prendere seri provvedimenti restrittivi e ad iniziare una vigorosa campagna educativa nelle scuole e presso gli eserciti. L'atteggiamento degli Stati Uniti veniva presto imitato a livello internazionale. Il documento elaborato per la «Convenzione dell'oppio» all'Aja dalla Società delle Nazioni, nel 1912 e nel 1914, sanciva infatti la messa al bando della cocaina e restringeva la liceità del suo uso esclusivamente alle applicazioni mediche e alla ricerca.




2.2 LE AMFETAMINE
La storia delle amfetamine è piuttosto recente rispetto a quella delle altre sostanze psicotrope che abbiamo già illustrato. Le amfetamine, infatti, vennero sintetizzate verso la metà degli anni trenta da un chimico di Los Angeles, Gordon Alles. Tali sostanze dovevano costituire un sostituto sintetico dell'efedrina, un principio farmacologico naturale della pianta Efedra molto efficace nella cura dell'asma, ma di difficile estrazione.
Le amfetamine, poste liberamente in vendita alla fine degli anni trenta in confezioni con inalatore, ebbero immediatamente un successo commerciale, non solo per la loro efficacia nel trattamento delle affezioni asmatiche, ma soprattutto per le proprietà stimolanti, la cui conoscenza si diffuse immediatamente, in special modo nel mondo degli studenti americani. Questi ultimi avevano imparato ad assumere il farmaco per vincere il sonno durante la preparazione agli esami.
In quegli anni le amfetamine venivano prescritte come antidepressivi e per la cura degli "esaurimenti nervosi". La potente azione anoressizzante, inoltre, veniva utilizzata per la produzione di farmaci per le cure dimagranti. Vennero dunque messe a punto numerosissime "pillole dietetiche", la cui pubblicità cominciò ad invadere non solo le riviste di medicina ma anche i rotocalchi a larga diffusione. Ciò determinava, agli inizi degli anni cinquanta, una grave e particolare forma di epidemia d'abuso, con moltissimi casi di persone diventate dipendenti all'amfetamina nel corso di cure dimagranti, ed induceva i governi dei paesi occidentali a regolamentare la produzione e il commercio di farmaci a base di amfetamine.

Le amfetamine e la seconda guerra mondiale
La prima grave epidemia d'abuso, in realtà, si era verificata durante la seconda guerra mondiale. Le pillole a base di amfetamine venivano infatti distribuite ai soldati, specialmente ai piloti, per aumentarne l'efficienza e sostenerne il morale. Secondo alcune stime, circa il 10% delle truppe inquadrate nell'esercito americano era dedito all'uso cronico e pesante di amfetamine. Tra i soldati dei corpi speciali e tra i prigionieri di guerra tale percentuale si alzava sino al 25%. I tedeschi distribuirono agli alleati giapponesi dell'Asse grandissime quantità di amfetamine, esportando verso l'Impero del Sol Levante anche le conscenze e le tecnologie necessarie allo loro sintesi.
A differenza dei tedeschi, però, i giapponesi distribuivano le amfetamine soprattutto alla popolazione civile, nelle fabbriche di munizioni e materiale bellico, per aumentare la produttività. "Ammine della veglia" fu il nome dato dai giapponesi a queste sostanze e che indicava sinteticamente i loro effetti più manifesti ed apprezzati.
Alla fine della guerra, le industrie farmaceutiche nipponiche cercarono di vendere le enormi scorte di amfetamine accumulate con anni di produzione esasperata, attraverso una martellante campagna pubblicitaria, che decantava l'efficacia di queste droghe nei casi di depressione, sonnolenza, stanchezza cronica, obesità. La campagna pubblicitaria ebbe un grande successo in quanto sfruttava scientificamente il diffuso stato di frustrazione e sfiducia che si era impadronito del paese, soprattutto dei giovani, in seguito alla sconfitta militare, proponendo un rimedio estremamente economico, rapido e potente. Con gli inizi degli anni '50, quindi, scoppiava in Giappone una vera epidemia dell'abuso di amfetamine. Una statistica del 1950 rivelava che circa il 5% della popolazione compresa tra i 16 e i 25 anni era costituita da tossicodipendenti dediti all'uso di amfetamine. Un'altra statistica del 1954, invece, dimostrava che su sessanta omicidi commessi nel paese, trentuno erano in qualche modo in rapporto più o meno diretto con l'abuso di tali sostanze.


3. ALLUCENOGENI
3.1 LA CANAPA INDIANA
La canapa indiana (Cannabis indica) è una pianta comune largamente diffusa nelle zone tropicali e temperate della terra. Dalla Canapa indiana si traggono la marijuana e l'hashish, sostanze con blanda azione euforizzante ed allucinogena. La marijuana è una miscela delle foglie, dei fiori e degli steli della canapa indiana, mentre l'hashish rappresenta la resina della cannabis estratta dal polline dei suoi fiori. L'hashish possiede effetti stupefacenti molto più forti rispetto alla marijuana in quanto la resina del polline contiene un percentuale di principi psicoattivi, i cannabinoli, più elevata di quella propria della pianta al naturale.

Dalla preistoria agli assassini
Si suppone che l'uso della canapa indiana cominci in età neolitica nei territori situati a sud ovest del Mar Caspio e corrispondenti all'attuale Afghanistan. La conoscenza della canapa si sarebbe da qui diffusa verso la Cina, dove il suo uso è documentato nel Rhyya, un trattato cinese di botanica del XV secolo a.C. Nel trattato farmacologico risalente al leggendario imperatore Shen Nung, la canapa veniva descritta come sedativo e panacea. Il testo indiano Atharveda indicava la canapa come elemento magico e medicinale.
In India la canapa era ritenuta di origine divina, in quanto derivava dalla metamorfosi dei peli della schiena di Visnù. Come tutti gli oggetti sacri essa possedeva vari epiteti tra i quali quello di Vijahia (fonte di felicità e successo) e di Ananda (che produce la vita). La canapa era coltivata dai bramini negli orti dei templi e serviva alla preparazione di un infuso chiamato bhang, che assunto in determinate occasioni rituali favoriva l'unione con la divinità.
Gli Assiri bruciavano una sostanza chiamata qunnabu nei loro templi, mentre Caldei e Persiani la conoscevano rispettivamente col nome di kanbun e di kenab. Nell'Avesta persiano la canapa occupava il primo posto in una lista di migliaia sostanze terapeutiche.
Nel mondo islamico la canapa era tenuta in grandissima considerazione. Hashish in arabo significa erba, anzi è l'erba per eccellenza, come se l'attività psicotropa della pianta costituisse la chiave definitoria dell'intero regno vegetale.
La canapa è stata protagonista della vicenda leggendaria del "Veglio della Montagna" e della feroce setta dei suoi assassini, che Marco Polo riprendeva con alcune varianti nel Milione, una storia che ha stimolato per secoli l'immaginario occidentale, soprattutto quello dell'epoca Romantica. In essa si raccontava di come l'imam Hasan, infallibile ed onnipotente capo della città fortezza di Alamut si servisse dell'hashish per arruolare dei giovani e renderli privi di volontà e da lui assolutamente dipendenti in modo tale da spingerli nelle imprese più pericolose, non escluso l'omicidio. Il termine assassini, con cui si indicavano in Europa i componenti di questa devotissimo corpo armato di vendicatori, e quindi per estensione gli autori di omicidio, derivava dall'arabo hashishen, cioè dediti all'erba.

L'hashis e l'indagine sulla follia
L'uso voluttuario della canapa veniva introdotto in Europa (soprattutto in Francia), nell'Ottocento, in seguito alla conquista delle provincie dell'impero Ottomano da parte delle truppe napoleoniche. Gli estatici abbandoni ed il vacuo torpore, il kif, cui si lasciavano abbandonare gli islamici divenne presto esperienza comune tra i borghesi e i giovani romantici parigini. Nascevano quindi circoli di fumatori d'hashish, luoghi consacrati ad un nuovo culto laico. Il «Club des Haschischins» era forse il più noto di questi. Vi convenivano alcuni tra i maggiori letterati ed artisti parigini dell'epoca, come Gerard de Nerval, Théophile Gautier, Charles Baudelaire, Honoré de Balzac.
Diverso era l'approccio che caratterizzava l'altro famoso cenacolo dei fumatori di hashish, quello di cui era capo indiscusso il medico Jacques Joseph Moreau de Tours. In questo circolo l'hashish era usato "sperimentalmente", come una sorta di sonda chimica per indagare la follia dal di dentro.
Moreau de Tours, scriveva nel saggio Du haschisch et de l'aliénation del 1845 di aver visto «nell'haschisch, o piuttosto nella sua azione sulle facoltà morali, un mezzo potente, unico, per esplorare le patologie mentali». Ciò perché per compredere le straniate architetture del pensiero folle bisognava averci vissuto dentro, almeno per un momento, ma senza perdere coscienza del delirio, mantenendo la capacità di osservare e giudicare le alterazioni via via sopraggiunte. Secondo Moreau de Tours, questo era possibile assumendo hashish.


3.2 PIANTE ALLUCINOGENE DEL SUD AMERICA
Molto antica è anche la storia dell'uso religioso del fungo magico del Messico e dell'America centrale in cui sono presenti due potenti sostanze allucinogene, la psilocibina e la psilocina, straordinariamente simili nella struttura chimica all'LSD. Teonanacatl è il nome indio di questo fungo e significa carne di dio, perché i sacerdoti messicani pensavano che esso permettesse di entrare in comunicazione con gli dei e di acquisire facoltà magiche e curative. L'idea dello Psylocibe come veicolo di un viaggio a ritroso verso una grandezza e una ricchezza perdute è ancora oggi comune in alcuni riti degli Indiani mazatechi e zapotechi.
Gli aztechi, invece, ritenevano sacro il cactus peyote, la pianta da cui si ricava un allucinogeno naturale, la mescalina, la cui ingestione dà effetti simili a quelli dell'LSD. I mescaleros, così i conquistadores spagnoli chiamarono gli indios del Nord America, avevano fatto dell'assunzione di peyote il fulcro dei cerimoniali religiosi. L'esperienza di trascendenza e di illuminazione che questa sostanza è capace di dare costituisce ancora oggi un elemento centrale della cultura religiosa di alcune tribù indiane d'America. I sacerdoti del Peyotismo non impongono nessun dogma specifico ai fedeli, poiché ritengono che ciascuno può entrare in comunione con Dio tramite la "grazia" che dà l'ingestione del peyote.
Il peyotismo, e l'uso rituale del peyote e del fungo psylocibe sono il tema fondamentale di alcune delle opere più famose di un antropologo brasiliano, Carlos Castaneda: A scuola dallo stregone, Una realtà separata e Viaggio a Ixtlan. Piuttosto che illustrare in maniera oggettiva i risulati di una ricerca scientifica condotta sul campo, esse tuttavia rappresentano una ingenua ed acritica apologia della mistica e dell'irrazionale, tanto che Castaneda è diventato una sorta di guida spirituale per la ribellione antintellettualistica condotta da molti giovani negli anni della contestazione del '68.
La mescalina ispirava un'altra opera letteraria di grande fortuna, quella scritta dall'autore di 1984 e de Il mondo nuovo, Aldous Huxley. Egli riteneva che la mescalina fosse il mezzo più efficace per gettare luce su quelle zone della coscienza umana che la cultura occidentale, così improntata alla razionalità, aveva messo in ombra. Per tale ragione, egli accettava di fare da cavia agli esperimenti con cui gli psichiatri Humpry Osmond, John Smythies e Abram Hoffer stavano indagando la possibilità di studiare i meccanismi biologici della schizofrenia attraverso l'induzione di psicosi sperimentali con mescalina. Le porte della percezione narrano le esperienze e raccolgono le riflessioni suscitate dai viaggi allucinati condotti da Huxley sotto l'effetto della mescalina.

3.3 ALLUCINOGENI DI SINTESI

Le metossiamfetamine
Tra gli altri allucinogeni di origine naturale, la mescalina è sicuramente la sostanza meno attiva. Negli anni '60, l'interesse sorto in ambito psichiatrico intorno alla mescalina diede un forte impulso alle ricerche chimiche e farmacologiche tese a potenziare gli effetti del principio attivo del peyote. Nascevano così le metossiamfetamine. Le prime metossiamfetamine hanno conosciuto una grandissima diffusione nel movimento hippy, soprattutto tra gli hippies di quello che era il centro mondiale della produzione di nuove sostanze psicoattive e dell'esplorazione dei loro effetti, San Francisco. Una tra queste, la 2,5-Dimetossi-4-metilamfetamina (DOM), cento volte più potente della mescalina, era stata soprannominata STP, abbreviazione di serenità, tranquillità, pace, ma anche chiaro riferimento ad un noto additivo della benzina usato per dare più potenza al motore. Il tramonto della cultura psichedelica hippy e l'avvento di quella efficientistica e più "effimera" degli hiuppies determinava quindi il declino dell'uso delle sostanze allucinogene. La trasformazione del mercato delle sostanze psicotrope impose così alla ricerca chimica la produzione di droghe capaci di aumentare la vigilanza e la consapevolezza del sé senza produrre effetti psicotici e distorsioni percettive. La più tristemente famosa di queste sostanze è l'MDMA, nota come ecstasy. Una droga che ha raggiunto il massimo della popolarità negli anni '80, in quella parte della popolazione giovanile che ha assimilato le istanze e gli stereotipi più deteriori - soprattutto per quanto riguarda le pratiche di aggregazione sociale - proposti da alcuni nuovi modelli culturali. L'ecstasy è così diventata una sostanza molto usata tra quelli che maniacalmente cercavano e cercano l'esasperazione del divertimento nelle discoteche, nelle feste private e nei locali notturni, perché conferisce euforia e possiede una potente azione eccitante. Al suo uso non è certo disgiunta la drammatica crescita della mortalità sulle strade del sabato sera.



LA DIETILAMIDE DELL'ACIDO LISERGICO: LSD
Nella grandissima varietà delle sostanze allucinogene, la dietilammide dell'acido lisergico, o più brevemente LSD, è sicuramente la più conosciuta. Essa è stata la prima droga psichedelica ad incidere in maniera profonda sulla cultura e sull'immaginario del mondo Occidentale. Intorno all'esperienza psicheledica prodotta dall'LSD, infatti, si originarono alcuni tratti fondamentali della "metafisica" e, in certi casi, della mistica che animava la rivolta hippy e che sul finire degli anni '60 si diffuse da San Francisco in tutti i paesi industrializzati.
Il 16 aprile 1943, Albert Hofmann, un chimico dei laboratori Sandoz, ingerendo accidentalmente l'LSD nel corso di esperimenti sull'attività farmacologica dei derivati dell'acido lisergico, veniva colto da allucinazioni, da un flusso ininterrotto di vivide visioni, immagini distorte, giochi caleidoscopici di colori, forme grottesche, durato qualche ora. Egli aveva scoperto casualmente le straordinarie proprietà psichedeliche dell'LSD.
Uno dei primi utilizzi dell'LSD tentati in medicina fu quello in ambito psichiatrico. Esso venne usato con l'intento di rendere conscio l'incoscio, ma anche, come nel caso degli altri allucinogeni, quale strumento per indurre delle psicosi sperimentali e studiare quindi i meccanismi della malattia mentale. Agli scarsi successi terapici, tuttavia, si accompagnava una straordinaria e rapida diffusione nel consumo voluttuario di LSD. L'LSD diveniva in breve una bandiera ideologica, il simbolo dell'anticonformismo e del rifiuto dei valori e della cultura occidentali. Secondo gli hippies e i ragazzi della beat generation, l'LSD doveva servire a promuovere quella rivoluzione psichedelica che avrebbe finalmente liberato la coscienza e i comportamenti dai legacci dell'educazione all'individualismo e del pensiero raziocinante imposti come norma dalla società occidentale.