canapa indiana

Gli effetti della canapa indiana sono estremamente variabili. Essi sono diversi da individuo ad individuo in quanto dipendono dalla qualità e dalla quantità della dose, dalla via di assunzione, dal contesto in cui la droga viene assunta, dalle aspettative, e dalla base biologica individuale su cui si va ad esercitare l'azione psicotropa della sostanza.
Esiste comunque una serie di effetti più caratteristici e ricorrenti così descrivibile:
- senso di distacco dal mondo, benessere, euforia;
- sedazione e sonnolenza;
- distorsione del senso del tempo, dello spazio e della visione;
- occasionalmente, illusioni ed allucinazioni.
L'uso della canapa sembra portare una diminuzione delle prestazioni psicofisiche, nell'attenzione, nei tempi di reazione, nella coordinazione motoria, nella percezione.
Pare dimostrato che l'abuso di canapa non provochi dipendenza fisica. Negli abituali consumatori può presentarsi invece una forma di dipendenza psicologica, indotta sia dal piacere che essi riferiscono di provare attraverso la sostanza, sia - forse soprattutto - da fattori d'ordine sociale, come i condizionamenti del gruppo di cui essi fanno parte e il desiderio dell'aggregazione ottenuta col "rituale" dell'assunzione collettiva di canapa.

MECCANISMI D AZIONE E TOSSICITA'

La ricerca sui meccanismi d'azione della canapa ha portato negli ultimi anni all'identificazione di recettori cerebrali per il tetraidrocannabinolo, il principio psicoattivo presente nella marihuana e nell'hashish. Recettori per il tetraidrocannabinolo sono stati localizzati a livello dell'ippocampo, una struttura del sistema limbico che possiede un ruolo importante nei processi di apprendimento e memorizzazione. Zone cerebrali ricche di recettori per i cannabinoli sono presenti nell'ipotalamo, centro nervoso dell'adattamento fisiologico (fame, sete, regolazioni del sistema ormonale, ecc.), nel cervelletto e nei gangli della base, organi centrali per il coordinamento motorio. Questo potrebbe spiegare alcuni effetti della canapa, come quello di stimolare l'appetito e di ridurre la coordinazione motoria.
La presenza di recettori cerebrali per i cannabinoli suggeriva l'esistenza di una molecola naturalmente prodotta dal sistema nervoso capace di legarsi a tali strutture cellulari e di provocare effetti simili a quelli della canapa: un cannabibolo organico. Questa sostanza è stata scoperta nel 1992 dal chimico israeliano Raphael Mechoulam, che ha voluto chiamarla "anandammide", da Ananda (fonte di vita e felicità), l'epiteto sanscrito con cui gli indiani indicavano la canapa.
L'uso della canapa provoca cambiamenti strutturali e funzionali nell'ippocampo e ciò potrebbe spiegare il calo nel rendimento nei tests cognitivi (sull'apprendimento e sulla memoria) che si riscontra mediamente nei consumatori di marijuana e hashish. Questo effetto tipico si amplifica nei casi di assunzione di elevate dosi di canapa fino a giungere al quadro clinico di una specifica sindrome, che è stata chiamata "disintegrazione temporale", i cui sintomi sono la tendenza a confondere passato, presente e futuro, spersonalizzazione, senso di irrealtà. I consumatori cronici di marijuana inoltre sembrano esibire una perdita di interesse e motivazioni verso le cose ed una generale apatia, presentano quella che è stata definita "sindrome amotivazionale". Le cause di tale quadro di alterazioni comportamentali sono però ancora controverse. Il ruolo dei fattori psicologici e sociali, infatti, possiede in questo caso un peso determinante, probabilmente superiore a quello proprio della pura azione farmacologica della canapa.
Dato che la canapa viene comunemente fumata, le affezioni più comuni tra i suoi consumatori sono quelle delle vie respiratorie. Piuttosto sensibile è l'incidenza dell'uso della canapa sugli equilibri ormonali, soprattutto quelli destinati alla regolazione delle funzioni e del comportamento sessuale. Controverso è invece l'impatto della canapa indiana sul sistema immunitario e quindi la possibilità che l'uso cronico di questa sostanza riduca la resistenza alle malattie.